mercoledì 15 aprile 2020

Coronavirus: un grave problema? L’incomunicabilità è il vero problema!



Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci; non c'intendiamo mai!
Sei personaggi in cerca d'autore, Luigi Pirandello

Con le dovute eccezioni! (Premessa necessaria alle parole che seguiranno.)

Questa quarantena (con oggi 42 giorni) obbligata dal coronavirus, il Covid-19, mi ha fatto molto riflettere sull’incomunicabilità e la capacità di distorcere o manipolare parole e discorsi. Ragionavo su questo molte settimane fa e mi è tornato in mente il quarto libro della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams: Addio, e grazie per tutto il pesce (So long, and thanks for all the fish).

Così con la voglia di parlarne sono andata alla ricerca di un’immagine del libro, giusto per fissare a nota della copertina qualche concetto e Google immagini mi ha, tra le altre, rimandato ad un post di Paolo Attivissimo sul suo blog Il Disinformatico: Kit di risposta rapida agli imbecilli: “Addio, e grazie pertutto il pesce”

-   Ho preso in prestito proprio da qui uno dei memi messi a disposizione a chiusura del mio precedente post (Coronavirus: in arrivo il reddito di emergenza. E se abolissimo il denaro?)




Anche Paolo Attivissimo alle prese con il problema dell’incomunicabilità, risponde: -E dire a qualcuno “Addio, e grazie per tutto il pesce” significa “Nonostante miei ripetuti tentativi di comunicare e spiegarti le cose, la tua boria e la tua stupidità ti impediscono di capire che cosa ti sto dicendo e quindi è inutile che io ti dedichi tempo”…  

Per comprendere le sue motivazioni non posso che suggerirvi di leggere il suo post, per tornare invece alle mie considerazioni, un po’ come ha fatto lui, devo, per chi non avesse letto il libro, sommariamente raccontarvi da dove nasce la frase.

Il titolo è il messaggio lasciato dai delfini al loro abbandono del pianeta Terra, poco prima che questo venisse distrutto per costruire una superstrada spaziale, come viene descritto nel primo romanzo della serie Guida galattica per gli autostoppisti. 



Leggendo l’incipit del romanzo e qualche stralcio sicuramente vi sarà più chiaro:

Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche del limite estremo à la page della Spirale Ovest della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione.
Questo pianeta ha – o aveva – un problema, e il problema era che la maggior parte dei suoi abitanti era quasi costantemente infelice.
Per rimediare al guaio furono suggerite varie proposte, ma queste concernevano per lo più lo scambio continuo di pezzetti di carta verde, un fatto indubbiamente strano, visto che tutto sommato non erano i pezzetti di carta verde a essere infelici.
E così il problema restava inalterato; un sacco di persone erano meschine, e la maggior parte erano anche infelici, perfino quelle fornite di orologi digitali”…

Compreso un po’ il senso del racconto arriviamo alla frase.

I delfini, una delle specie terrestri più intelligenti degli esseri umani, sapendo che la Terra sarebbe stata distrutta, avevano cercato di avvertire gli umani, ma senza essere compresi. L’ultimo messaggio lasciato dai delfini prima di andarsene dalla Terra era stato proprio “Addio, e grazie per tutto il pesce” e ovviamente non era stato compreso.

“[…]sul pianeta Terra, l’uomo aveva sempre dato per scontato di essere più intelligente dei delfini perché aveva realizzato così tante cose -- la ruota, New York, le guerre e così via -- mentre tutto quello che avevano fatto i delfini era stato giocherellare in acqua e spassarsela. Ma i delfini, dal canto loro, avevano sempre pensato di essere molto più intelligenti degli umani, esattamente per le stesse ragioni.
Stranamente, i delfini sapevano da tempo della distruzione imminente del pianeta Terra e avevano fatto molti tentativi per avvisare l’umanità di questo pericolo; ma la maggior parte delle loro comunicazioni furono fraintese come tentativi divertenti di colpire palloni o fischiare per avere bocconcini, per cui alla fine ci rinunciarono e abbandonarono la Terra con i propri mezzi poco prima che arrivassero i Vogon.
L’ultimo messaggio mai inviato dai delfini fu interpretato erroneamente come un tentativo sorprendentemente sofisticato di fare una capriola doppia all’indietro passando attraverso un anello e fischiettando l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America, ma in realtà il messaggio era questo: ‘Addio, e grazie per tutto il pesce’.”




In sostanza il problema è chiaro: non sappiamo e non vogliamo ascoltare. Mettendo da parte la finzione narrativa, tra presunzione, pregiudizi, autoreferenzialità e superficialità, quando qualcuno ci parla non ci soffermiamo a comprendere le parole dell’altro, nella fretta di piegare il discorso ai nostri intendimenti non lo ascoltiamo neanche fino alla fine e prima ancora di riflettere lo pieghiamo e lo cataloghiamo a nostra immagine e somiglianza.

Anche in questa fase così drammatica, complice la cassa di risonanza dei social, finiamo per attribuire a delle dichiarazioni significati altri che assecondino le nostre paure o che strumentalizzando sostengano le nostre tesi, insomma volta e gira sentiamo solo ciò che vorremmo sentire.

Tutto questo riflette semplicemente il nostro modo d’intendere anche i comuni e quotidiani rapporti interpersonali, fateci caso.

La distanza fisica tra le persone di questi giorni per evitare il contagio dal Covid-19 è niente se paragonata alla distanza psicologica che mettiamo tra noi e gli altri, la distanza relazionale di cui siamo “vittime” continuerà anche dopo se non proviamo a cambiare, ognuno riprenderà la propria strada, la propria distanza.
L’incomunicabilità è il vero problema!

Se la comunicazione è costruttiva diventa un valore, un arricchimento, ma siamo talmente concentrati su noi stessi, sui nostri piccoli e grandi egoismi che non abbiamo voglia di ascoltare.




Vi saranno familiari le frasi: non può capire, ah se avesse i miei problemi, parla perché non sa, siamo tutti bravi a sentenziare sugli altri, beato lui/lei che si può permettere… che ha… che non ha… e invece io…

Non riusciamo proprio a crescere, ad uscire dal nostro spazio ristretto e preferiamo allontanare o entrare in conflitto con chi non ci asseconda, chi non parla la nostra lingua, così cerchiamo nel mare d’informazioni che ci sommerge solo ciò che può compiacerci e chi, mantenendo le dovute distanze, non mette niente in discussione.

L’ha ben compreso uno dei social più seguiti Facebook, nelle bacheche di facebook infatti prevale l’affinità tra utenti che la pensano allo stesso modo sedimentando così le stesse convinzioni, niente confronto, solo ciò che “piace”, clik, clik e siamo a nostro agio... 


Illustrazione satirica di Pawel Kuczynski


Sappiamo già tutto, nessuno può insegnarci niente, siamo diversi, incompresi, incapaci di flessibilità, io ho ragione, tu hai torno. Solo io posso capire e tu no!

Guardiamo per un attimo al coronavirus: è un complotto, e tutti a cercare chi avalla questa tesi; è una punizione divina, e tutti a cercare i predicatori che lo confermano; è un’influenza, e tutti a cercare i virologi che lo confermano; è stato causato dagli animali, e allora niente più carne, sono gli animali il problema, è il cibo cinese il problema, senza approfondire, ascoltare; virus e batteri si trovano anche nelle piante tutto dipende dall’ambiente, da come interveniamo nell’ambiente circostante; non siamo neanche in grado di ascoltare la natura che ci parla in modo efficace, l’abbiamo visto con terremoti e inondazioni, il problema non sono le piogge e le scosse, ma la cattiva edilizia; così è anche per il covid-19.

Allo stesso modo agiamo nei nostri rapporti con chi ci sta accanto, non è la presunta “confidenza” a renderci vicini, è la comunicazione che dovrebbe avvicinarci, concetti molto diversi tra loro.

Il linguaggio, privato o sociale, ci consente di comunicare, di esprimere i nostri pensieri e la nostra conoscenza, di condividerli, a patto che venga ascoltato o letto fino in fondo.

Vi faccio un esempio, uno dei tanti miei peggiori difetti è l’uso dell’ironia, quando usiamo la comunicazione a volte ci serviamo delle figure retoriche per esprimere i nostri pensieri, io uso l’ronia, non per aggredire, ma per sottolineare qualcosa che altrimenti non verrebbe detta, per rimarcare l’inconsistenza o l’esagerazione di una determinata situazione, ma solitamente l’effetto che raggiunge è quello di alzare un muro. Nessuna voglia di comprendere, di chiedere, d’indagare se si tratta di una “battuta”, un’iperbole, l’esagerazione di una verità su cui soffermarsi affermando l’esatto opposto. Di confrontarsi con qualcosa che magari non piace, ma esiste e richiede un confronto, una discussione, un dibattito e giustamente anche la possibilità di essere smantellata e argomentata pezzo a pezzo. Invece "comodamente" liquidiamo tutto riconducendolo a ciò che più ci assomiglia. Mostrando così che si tratta di un rapporto senza nessuna costruzione, dove non si è progettato nulla, comunicato nulla. 


Gilbert Garcin, distanza


Ho fatto il mio esempio semplicemente per ribadire che abbiamo un linguaggio ricchissimo per comunicare e finiamo per alimentare solo l’incomunicabilità per restare nella nostra zona di comfort e poter dire a gran voce per l’ennesima volta: ah, come sono sola/o, nessuno mi può capire!

In fondo non siamo diversi dagli hikikomori (ricordate ne avevo parlato in questo post Hikikomori: i rinchiusi. Soli dentro la stanza e soli fuori. ) se ci ostiniamo a restare rinchiusi nelle nostre convinzioni, circondandoci solo di chi le asseconda.

Ora paradossalmente siamo tutti rinchiusi in casa, ma dopo se continueremo a restare rinchiusi in noi stessi come possiamo pensare di cambiare il mondo che è l’espressione di ciascuno di noi? Il mondo siamo noi e la nostra capacità di comunicare.

Vi lascio con un pensiero dell’autore di Guida galattica per gli autostoppisti, Douglas Adams, da me leggermente rimaneggiato, in rosso le parole che ho sostituito:
Una persona deve assolutamente mantenere l’innocenza dei bambini. Se sente una cosa, deve dire che la sente sia nel caso si tratti proprio della cosa che pensava di sentire, sia che si tratti di un’altra. Prima bisogna ascoltare, poi pensare, e infine verificare... Ma è sempre necessario, innanzitutto, ascoltare. Altrimenti si ascolta solo ciò che ci si aspetta di ascoltare. La maggior parte delle persone si dimentica di questo.


  •  Le immagini in questo post provengono dal web, copyright dei rispettivi aventi diritto che ringrazio.


11 commenti :

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  2. La comunicazione è molto importante nel contesto sociale, in primis bisogna avere menti aperte, non dare mai nulla per scontato e ricordarsi che non esiste una verità assoluta. Concordo con le tue parole, finché ci ostiniamo a restare rinchiusi nelle nostre convinzioni, non si può mai avere un cambiamento.
    Saluti a presto.

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    1. Condivido, Cavaliere, sull'apertura mentale. Senza confronti aperti, condivisibili o meno, non può esserci crescita e la comunicazione è indispensabile per confrontarsi.
      Un abbraccio

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  3. Il post è molto bello e vero.
    Direi che quella che hai descritto è la comfort zone della nostra comunicazione: circondarci solo di chi la pensa come noi e quindi comunica come noi le medesime cose.
    Ma credo sia normale: al di là del confronto, perché avvelenarsi andando "nella tana del lupo" (dove vale sempre che tutti siamo uomini e anche tutti lupi)?

    Moz-

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    1. Grazie Moz XD
      Ti faccio un esempio un po' limite, pensa ai matrimoni tra consanguinei che si praticavano in passato tra la nobiltà, le malattie ereditarie si manifestavano con molta facilità, generando una discendenza gracile e malaticcia, mettiamola così.
      Questo per dire che abbiamo bisogno di essere sollecitati, di confrontarci anche con chi è diverso da noi, sempre sul piano della comunicazione, altrimenti finiamo per convincerci di essere noi i soli portatori di tutto, non mi dilungo nell'elenco, nel bene e nel male.
      E poi magari andando nella tana del lupo si può scoprire che il lupo raramente attacca l'uomo ;)
      Un abbraccio.

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  4. Mi ero perso colpevolmente questo tuo post. L'incomunicabilita è un problema credo presente dalla notte dei tempi oggi però più accentuato da una superficialità dilagante condita da una arroganza crescente. I due ingredienti insieme formano una miscela esplosiva

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    1. Buongiorno Daniele, al contrario sei molto attento, sono io quella che si perde tanto :D
      Riflettere sulla comunicazione mi è sembrato naturale, soprattutto in questa fase in cui viaggiano milioni di dati e informazioni più o meno attendibili. Ascoltare bene ciò che viene detto diventa fondamentale, perchè, come dici bene, la superficialità o l'autoreferenzialità non porta da nessuna parte...

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  5. Non so Santa, penso che non riuscirei ad includere tra le persone con cui comunicare ampie fasce di quelli che incrocio nei "social". Nel contempo non sono diversa da molti che io snobbisticamente bollo come non degni della mia attenzione proprio perché li elimino a prescindere non prendendo nemmeno in considerazione l'apertura di un dialogo. È che non ne vale la pena. Come fai a dialogare con un terrapiattista (esempio estremo lo so) o con uno di quelli che dicono: spariamo ai gommoni così affondano e problema risolto, o con chi oggi dice: aprire aprire e ieri chiudere chiudere, con i vegani oltranzisti disposti a tagliare la gola ad altri umani per difendere i polli. Avevo fra i lettori e commentatori del mio blog anche una persona che pur molto brillante ed intelligente come missione si era data quella di provocare sempre e comunque in modo fascistoide e con discorsi da suprematista bianco qualsiasi mio post che potesse prestarsi allo scopo (fortuna mi sa che si è stufato è un po' che non lo incontro più) Come si fa ad aver voglia di comunicare in queste condizioni.

    "SOLO L'ASSENZA DI CERTEZZE PUÒ AIUTARCI A RESTARE LIBERI"
    (Roberto Esposito)
    Mi piace questa frase ma temo di non esserne all'altezza Ho alcune certezze, semplificando al massimo "meglio soli che mal accompagnati" Di decerebrati è pieno il mondo.

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    1. Ciao Vera, allacciandomi al tuo riferimento ai social, oserei dire che proprio la necessità di essere brevi nelle comunicazioni ci porta spesso a leggere solo i titoli, gli slogan, le frasi sottolineate senza voler o prendersi il tempo di ascoltare/leggere tutto. Viviamo di conclusioni approssimative.
      Certo, poi, ci sono situazioni diverse e i tuoi esempi ne sono la prova, se qualcuno teorizza che la terra è piatta, argomentandolo, e qualcun altro prova a spiegargli, con prove scientifiche che non lo è, la comunicazione c'è, bisogna vedere se si trasforma in un'opportunità, per l'uno o per l'altro, di riconsiderare la propria "posizione". Ma se leggo, mi servo sempre del tuo esempio, che la terra è piatta e non leggo tutto fino in fondo e poi non vado a controllare bene, sempre fino in fondo, perchè è tonda, beh allora meglio tirare i remi in barca. Se parli di qualcosa ho il dovere, verso il mio cervello, di ascoltarti fino alla fine, eventualmente di chiederti di spiegarti meglio o di chiarirmi dei punti oscuri, poi posso controbattere le tue argomentazioni con le mie. Ma se ti dico "la terra è piatta" e la comunicazione resta chiusa, vuol dire semplicemente che non m'interessa altro, non voglio comunicare, ma semplicemente fare un proclama.
      La comunicazione è un opportunità per mettersi in discussione, comprendere una situazione, non arrivare a conclusioni affrettate, rivedere anche la propria posizione perchè ci si arricchisce di altre informazioni o competenze. Esempio sciocco, se a scuola l'insegnante non era in grado di "comunicare" la lezione, non si capiva nulla, se mentre l'insegnante spiegava non stavamo ad ascoltare, ugualmente non capivamo nulla.
      Alla base della comunicazione c'è l'ascolto.
      Avviene tra due persone e tra una moltitudine.
      ... Sarebbe bello vivere pienamente senza certezze, ma forse la nostra consapevolezza di essere deboli, nel nostro intimo lo sappiamo, ci porta ad aggrapparci sempre a qualcosa che fingiamo sia certo.
      Non è facile essere all'altezza di questa frase, proprio no...

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  6. Credo che questo coronavirus abbia evidenziato dei comportamenti già esistenti. Siamo sempre stati distanti l'uno dall'altro anche se eravamo vicini. Abbiamo rincorso la vita perfetta senza accorgerci che la felicità la puoi trovare al bar, bevendo una tazza di caffè con chi si ama.
    A presto #biancopesca

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    1. Benvenut* Biancopesca e grazie per la freschezza di questa immagine: "la felicità la puoi trovare al bar, bevendo una tazza di caffè con chi si ama."
      La semplicità spesso ci sfugge alla ricerca di sovrastrutture complesse e complicate, vale anche per la comunicazione.
      Un caro saluto.

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