mercoledì 30 marzo 2016

Purity di Jonathan Franzen, un vocabolario in disordine tradotto da Silvia Pareschi.




“Il più grande capolavoro letterario non è altro che un vocabolario in disordine.” (Jean Cocteau)

La colta citazione mi risolverebbe tutto, potrei chiudere qui, ma sarei spaventosamente incomprensibile, e me ne rendo anche conto, perché nessuno riesce a leggere nella mente dell’altro (per fortuna e per sfortuna, a seconda dei casi, più per sfortuna direi).

A 5 anni da Libertá, Jonathan Franzen, considerato dalla critica l’autore del «grande nuovo romanzo americano», è già da un po’ in libreria col suo quinto e atteso romanzo “Purity”, tradotto per noi da Silvia Pareschi.

Jonathan Franzen

Ora il faticoso compito di collegare l’acuta frase del grande Jean Cocteau, che di suo ha un significato molto articolato e profondo, ma di mio ha una lettura ingenua e sventata.

Se per caso mi fossi trovata di fronte l’edizione originale di “Purity”, ovviamente in lingua inglese, nutrita di slang e declinata in “americano” per me sarebbe stato, proprio alla lettera, “un vocabolario in disordine”, senza se e senza ma. Un insieme di parole alla rinfusa che pur mettendoci tutto il mio impegno e la volontà non sarei mai riuscita a riordinare con un senso quasi compiuto, figurarsi a cogliere il ritmo della scrittura o il senso profondo di una parola che ogni “vero” scrittore sceglie con la massima cura.

“Con Franzen, per me, è sempre stata una questione di identificazione. Identificazione con il suo stile, con quei periodi lunghi e complessi, piuttosto atipici per uno scrittore americano, che ogni volta affronto con un gusto quasi enigmistico per la ricomposizione della sintassi all’interno del senso. Con le sue parole nitide, mai scelte a caso (– Come hai reso quel «Pussycat» all’inizio di Purity? – mi ha chiesto mentre stavo lavorando alla traduzione. – Micetta, – gli ho risposto. E lui: – Suona un po’ strano in italiano? – Sì. Non sono molte le madri che chiamano la figlia «micetta». – Bene. Lo stesso vale per «pussycat» –. Sollievo. La prima parola del libro aveva ricevuto la sua approvazione)” […]
Sono le parole di Silvia Pareschi, traduttrice in Italia di Franzen, “sui rischi che si corrono a tradurre Franzen”, in un suo interessante pezzo scritto sul nuovo blog dell'Einaudi qui

Silvia Pareschi

E adesso ditemi voi se una straordinaria traduttrice come Silvia Pareschi, che ci ha regalato pagine eccezionali della letteratura internazionale (io ad esempio ho adorato “La breve favolosa vita di Oscar Wao” di Junot Diaz, premiato da una commissione di critici americani come il miglior romanzo del XXI. Né oso immaginare la difficoltà che ha incontrato nel tradurre un romanzo, di uno scrittore di origini dominicane, ricco di rimandi continui al fantasy, ai fumetti, alla fantascienza più colta e oltretutto anche “gergale”) racconta dei “rischi che si corrono a tradurre…”, come potrei io avvicinarmi a “interpretare” un romanzo.

Per me «pussycat» sono una band, a voler fare uno sforzo, sempre con la modalità “Cecco Grullo” del mio cervello,  la serie Josie and the Pussycats, quindi avrei pensato a “donna gatto” e vocabolario alla mano, questa volta  in ordine alfabetico, avrei azzardato “gatta”, ma anche se la madre di Pip, la protagonista di Purity, è una donna sopra le righe, difficilmente chiamerebbe familiarmente la figlia “gatta”.

Scena dal film Josie and the Pussycats

Ritornando alla frase di Cocteau, nessun capolavoro letterario, se non nella mia lingua madre (che terribile limite), mi avrebbe fatto sussultare, tenuta incollata alle pagine, fatto sognare, infiammata o scombussolata, senza l’intensa fatica del lavoro di traduzione, che non è perizia grammaticale, semplice conoscenza di una lingua straniera, ma è cultura, affinità, piacere, duro impegno, oltre che decisione e scelta di una parola, di un ritmo, del significato potente di una frase, tutto questo spesso nella totale assenza di glossari quando il linguaggio si fa gergale, corrosivo, intimo.

Lo studioso ceco Jiří Levý nel suo saggio "La traduzione come processo decisionale", evidenzia tutta una serie di valutazioni che il traduttore deve fare per scegliere la giusta strategia traduttiva. L'attività del traduttore è costituita da «una serie di un certo numero di situazioni consecutive - di mosse, come in un gioco -, situazioni che impongo al traduttore la necessità di scegliere tra un certo numero di alternative», una scelta che dipende dal contesto e che costituisce un'interpretazione; la "mossa" del traduttore definisce un certo numero di scelte successive, sia sul piano tecnico sia sul piano più prettamente "filosofico".

Ma a rendere meglio lo spirito di una traduzione sono le parole di Douglas Robinson: «… Un bravo traduttore vuole sempre sapere di più, vuole sempre aver fatto altre esperienze, non si sente mai del tutto soddisfatto del lavoro appena finito. Le aspettative stanno eternamente uno o tre passi avanti alla realtà, e tengono il traduttore eternamente inquieto alla ricerca di altre esperienze…»

Dietro una traduzione c’è questo e molto altro ancora, perché non dimentichiamoci che “il traduttore” è il tramite tra lo scrittore, la lingua e il lettore. Eccolo il nostro traduttore: l’ “avatar” editoriale dello scrittore, che si fa necessariamente scrittore egli stesso.
È interessante leggere il punto di vista di Silvia Pareschi, traduttrice pendolare tra l’Italia e gli Stati Uniti, in queste due coinvolgenti interviste sul suo lavoro di traduttrice (perché lei è una donna estremamente coinvolgente e incantevole, oltre che generosa – quanto mi piace essere di parte con gli amici blogger – ma se farete una capatina sul suo blog personale ninehoursofseparation.blogspot scoprirete che sono più che obiettiva):

Intervista a Silvia Pareschi: la traduzione tra gli Stati Uniti e l’Italia qui

Intervista a Silvia Pareschi, traduttrice di Jonathan Franzen qui




Ed è così che grazie a Silvia anche Purity si ricompone e si sviluppa diventando anche per me un romanzo, il capolavoro lo decide l’emozione che procura e il tempo, buona parte dell’emozione la dobbiamo, per la letteratura straniera, alla traduzione, vale anche per l’ultimo romanzo di Franzen.
Un libro politico che con un linguaggio “divertente” lancia accuse contro i social media, diviso in sei parti segue le traversie di Purity Tyler – detta Pip, giovane impiegata in un ufficio di vendite telefoniche per riuscire a  ripagarsi il debito studentesco di 130 mila dollari, divisa tra una madre “catastrofica”, la ricerca del padre di cui non sa nulla e una serie di personaggi che ne costruiscono l’intrigante trama, un caos che solo Jonathan Franzen poteva riordinare e Silvia Pareschi farcene godere.

«C'è di tutto in questo libro: amore, omicidio, terrorismo coniugale, sesso imbarazzante, sesso strano, sesso in solitaria, la STASI, fughe di notizie via internet, sparizione di armi nucleari padri assenti, madri prepotenti e un bel campionario di disordini intestinali. […] Ma se il risultato è un romanzo così furiosamente spassoso, allora tutto questo ben venga». (Duncan White, The Telegraph)

«Il romanzo più agile, intimo e sicuro di Franzen….In Purity dimostra come gli basti appoggiare le dita sulla tastiera per evocare mondi interi…La voce di Franzen si è ampliata di un'ottava». (Michiko Kakutani, The New York Times)

 [...]
-Non ce l'ho con te, -disse Pip. -Non ho intenzione di andarmene. Ma ho bisogno di soldi, e tu non ne hai, e io non ne ho, e c'è solo un posto dove posso andare a cercarli. C'è solo una persona che almeno in teoria mi deve qualcosa. Perciò ne parleremo. -Micetta, -disse sua madre in tono triste,-tu sai che non lo farò. mi rincresce che tu abbia bisogno di soldi, però qui la questione non è se mi piace o non mi piace, ma se posso o non posso. E io non posso, perciò dovremo pensare a qualcos'altro. Pip si accigliò. Di tanto in tanto sentiva il bisogno di divincolarsi dalla camicia di forza delle circostanze in cui si trovava da due anni, per vedere se magari le maniche cedevano un po'. E ogni volta la ritrovava stretta come prima. Sempre in debito di centotrentamila dollari, sempre l'unica consolazione di sua madre. Il modo immediato e totale in cui era rimasta intrappolata, nell'istante stesso in cui erano terminati i quattro anni di libertà del college, era piuttosto notevole; lo avrebbe trovato deprimente, se si fosse potuta permettere di deprimersi.

[…]
Quale delle seguenti cose hai fatto senza il permesso del proprietario: entrare in un account e-mail, leggere messaggi su uno smartphone, rovistare tra i file di un computer, leggere un diario, esaminare documenti privati, ascoltare una conversazione privata quando qualcuno ti chiama per sbaglio al telefono, ottenere informazioni su una persona con l'inganno, appoggiare l'orecchio a una parete o una porta per ascoltare una conversazione,

[…]
-Ho una domanda, però, -disse Pip mentre faceva a brandelli il cespo di lattuga che Dreyfuss considerava un'insalata già pronta.
-Se una persona viene pagata quarantamila dollari all'anno per essere un consumatore, e un'altra riceve lo stesso stipendio per cambiare le padelle in una casa di riposo, la persona che cambia le padelle non se la prenderà un po' con quella che non fa niente?
-Gli addetti ai servizi dovranno essere pagati di più, -disse Garth.
-Molto di più, - disse Pip.
-In un mondo giusto, -disse Erik, -gli operatori della casa di riposo sarebbero quelli che girano in Mercedes.

[…]
Dreyfuss rifletté con distacco. -Potrebbe interessarti sapere che ho letto tutte le mail e la corrispondenza sui social media tra Stephen e la tedesca. È del tutto innocente, anche se tediosamente ideologica.
Sarebbe proprio un peccato perdere la tua intelligente compagnia per una sciocchezza come questa.
- Wow, -esclamò Pip. - Stavo per dire che avrei sentito un po' la tua mancanza, e ora mi racconti che non solo origli, ma leggi anche le nostre mail.
-Solo quelle di Stephen, -disse Dreyfuss. -Usiamo lo stesso computer, e lui non si slogga mai. Credo che nel linguaggio legale si dica «in piena vista».

[...]
In uno Starbucks anonimo in Piedmont Avenue, davanti a un latte macchiato con focaccine dolci, Pip scrisse e riscrisse tormentosamente una mail che infine trovò il coraggio di spedire a Stephen, il quale non poteva ricevere sms perché i piani telefonici costavano soldi. Che Dreyfuss l'avrebbe letta non le importava granché; era come se un cane o un computer «sapessero» qualcosa di lei...

  • Le immagini in questo post   provengono dal web e sono presenti solo a scopo illustrativo. Copyright dei rispettivi aventi diritto che ringrazio. 

8 commenti :

  1. Ciao,
    non so, io l'ho trovato un po' deludente Purity. Anche Libertà mi aveva convinto poco. Il migliore per me resta Le correzioni.

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    1. Ciao And, per me è difficile fare confronti, ho letto solo Purity.
      Sai bene che sono indietro di secoli sulle letture, di contemporaneo leggo davvero poco. È un mio limite e una mia lentezza congenita :)
      Questa è stata una lettura che mi ha portato, ma è un pensiero datato ovviamente, a fare una riflessione sulle traduzioni, argomento spesso trattato dall'amica Silvia che lo vive in prima persona.

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  2. Ehi, ma che meraviglia, grazie! Sono lusingata! Be', forse non sapresti tradurre un libro dall'inglese, ma hai colto perfettamente lo spirito della traduzione: le parole dei due studiosi che hai citato sono azzeccatissime.

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    1. Grazie Silvia, le tue parole mi sollevano visto che non è il mio settore, ma una sorta di ringraziamento, un sentimento di gratitudine per chi, come te, mi ha consentito di leggere opere che ho amato e amo molto.
      Il vostro lavoro colma molti silenzi: brava!

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  3. Oh, le traduzioni! Pensa che io sto leggendo in tedesco un libro che, credo, sia tradotto dal norvegese, e mi sono segnata delle parole di cui si fa un confronto sulla forma e il significato, e mi sono chiesta prima come saranno questi termini in norvegese, visto che sono parte integrante dell'argomento e la descrizione è del termine tedesco; poi mi sono chiesta come sia stata riportata in italiano la questione linguistico-semantica, visto che in italiano la forma dei due termini non è simile, anzi...
    Quanto alle traduzioni di Silvia, sono perfette, anche se di Franzen non ho letto nulla, più che altro perché ho il sospetto che non sia il mio genere di autore, quindi aspetto di sentirmi pronta :)

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    1. Buonasera Elle, con le tue parole confermi la dedizione e l'impegno che occorre in questo lavoro, chi legge spesso dimentica la fatica a cui si sottopone un traduttore, parlo di chi fa questo lavoro con amore e passione, perchè ci sono traduzioni e traduzioni, anche questo va ricordato.
      Sai che il tuo riferimento al norvegese mi ha fatto sorridere... tempo fa un amico ha postato, non senza malizia, un articolo del fare "fika" norvegese :)
      "la pausa caffè con i colleghi", ti dirò la cosa mi ha incuriosito e sono andata a ricercare l'etimologia, dal norvegese arcaico ai neologismi, ovviamente senza il tuo bagaglio di conoscenze ;)

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  4. Che post meraviglioso...da leggere tutto di un fiato e da rileggere ancora..
    Penso a quanti romanzi sono stati tradotti in maniera pessima e sono stati rovinati completamente...
    Santa sei tutti noi....
    Un bacio notturnissimo!

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    1. Buon pomeriggio Nella, ma grazieee è gratificante quando i nostri pensieri comunicano qualcosa, mi emozionano le tue parole.
      Qui cara Nella siamo difronte a una traduttrice "perfetta", nel novero di coloro che ci fanno godere la grande e buona letteratura straniera e a cui va la mia gratitudine.
      Un bacio d'après-midi...

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