domenica 22 febbraio 2015

il Poeta della domenica... Cesare Pavese

"Tu sarai amato, il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l'altro se ne serva per affermare la sua forza"


E allora noi vili

che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto –
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume –
–  non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
23 novembre ‘45



Un ricordo

Non c’ è uomo che giunga a lasciare una traccia
su costei. Quant’è stato dilegua in un sogno
come via in un mattino, e non resta che lei.
Se non fosse la fronte sfiorata da un attimo,
sembrerebbe stupita. Sorridono le guance
ogni volta.
              
                  Nemmeno s’ammassano  i giorni
sul suo viso, a mutare il sorriso leggero
che si irradia alle cose. Con dura fermezza
in ogni cosa, ma sembra ogni volta la prima;
pure vive fin l’ ultimo istante. Si  schiude
il suo solido corpo, il suo sguardo raccolto
a una voce sommessa e un po’ roca: una voce
d’uomo stanco. E nessuna stanchezza la tocca.

A fissarle la bocca, socchiude lo sguardo
in se stessa: nessuno può osare uno scatto.
Molti uomini sanno il suo ambiguo sorriso
o la ruga improvvisa. Se quell’ uomo c’ è stato
che la sa mugolante, umiliata d’amore,
paga giorno per giorno, ignorando di lei
per chi viva quest’ oggi.
                                           
                                            Sorride da sola
il sorriso più ambiguo camminando per strada.



Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
9 novembre '45



Paesaggio I
(al pollo)

Non è più coltivata quassù la collina. Ci sono le felci
e la roccia scoperta e la sterilità.
Qui il lavoro non serve più a niente. La vetta è bruciata
e la sola freschezza è il respiro. La grande fatica
è salire quassù: l’eremita ci venne una volta
e da allora è restato, a rifarsi le forze.
L’eremita si veste di pelle di capra
e ha un sentore muschioso di bestia e di pipa,
che ha impregnato la terra, i cespugli e la grotta.
Quando fuma la pipa in disparte nel sole,
se lo perdo non so rintracciarlo, perché è del colore
delle felci bruciate. Ci salgono visitatori
che si accasciano sopra una pietra, sudati e affannati,
e lo trovano steso, con gli occhi nel cielo,
che respira profondo. Un lavoro l’ha fatto:
sopra il volto annerito ha lasciato infoltirsi la barba,
pochi peli rossicci. E depone gli sterchi
su uno spiazzo scoperto, a seccarsi nel sole.
Coste e valli di questa collina son verdi e profonde.
Tra le vigne i sentieri conducono su folli gruppi
di ragazze, vestite a colori violenti,
a far feste alla capra e gridare di là alla pianura.
Qualche volta compaiono file di ceste di frutta,
ma non salgono in cima: i villani le portano a casa
sulla schiena, contorti e riaffondano in mezzo alle foglie.
Hanno troppo da fare e non vanno a veder l’eremita
i villani, ma scendono, salgono e zappano forte.
Quando han sete, tracannano vino: piantandosi in bocca
la bottiglia, sollevano gli occhi alla vetta bruciata.
La mattina sul fresco son già di ritorno spossati
dal lavoro dell’alba e, se passa un pezzente,
tutta l’acqua che i pozzi riversano in mezzo ai raccolti
è per lui che la beva. Sogghignano ai gruppi di donne
o domandano quando, vestite di pelle di capra,
siederanno su tante colline a annerirsi al sole.



Cesare Pavese, Poesie da "Lavorare stanca" 1943
 e "Poesie edite e indite" 1962




Grazie per il video a Federico Giammangiato

Cesare Pavese il 27 agosto 1950 si suicidò in una camera dell'albergo Roma a Torino. Quello stesso mese, prima di morire, scrisse questa lettera a Romilda Bollati, chiamata da tutti Pierina. L'ascoltiamo nell'intensa interpretazione di Giorgio Albertazzi


                                                                      Grazie per il video a Paolo Cristiano


Nel 1935 Cesare Pavese fu accusato di antifascismo e condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro.





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  • 8 commenti :

    1. Che meraviglia il "mio" Cesare Pavese! Chissà dove è venuto a lui quel legame tanto profondo alla terra, colline e fiumi e brezze autunnali, chissà da dove è venuto a me, se lui ha contato con la sua poesia con i suoi romanzi e racconti. E quel domandarsi continuo e quell'abitudine a guardarsi con poca indulgenza. Da ragazza mi ci riconoscevo totalmente. Bella domenica… di pioggia qui da noi. Ciao Santa, un abbraccio

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      1. Anche per me un'amore "di" ragazza Matilda, il primo La luna e i falò, poi la poesia. Ho visto le langhe ed ho capito un po', perchè il "cuore" non si può conoscere e come lui stesso dice:...Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra... Un bacio e una bella settimana (piove anche qui dappertutto...)

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    2. Poeta di forza incredibile, tutto da scoprire. Se fosse stata una rockstar avremmo detto che spaccava dentro :)

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      1. E allora Alli, per Cesare Pavese: Standing Ovation!

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    3. uno degli scrittori su cui mi sono formato. le langhe viste con la nebbia sono di una bellezza incredibile.

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      1. Per me And è stato un viaggio quasi ad omaggiare Pavese. Vorrei tornarci... uno di questi giorni. Io ho un ricordo dell'alba con una lieve foschia che non dimentico.

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    4. Mi colpisci al cuore, con Cesare Pavese ... La lettera a Pierina mi tocca ed emoziona sempre. La morte scelta di Pavese continua a farci male. Da leggere, a questo proposito, la commemorazione struggente di Natalia Ginzburg in "Piccole virtù". Un abbraccio.

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      1. Una tra le più belle cose scritte per lui, grazie per averlo ricordato Maria. Ti abbraccio

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