martedì 10 febbraio 2015

La prima volta/1. In un cinema porno con Dario Argento.


C’ero riuscita, aveva detto si. Mio padre quella settimana aveva finalmente acconsentito. La mamma,
con un duro lavoro ai fianchi, lo aveva ammorbidito. Io e G., l’amica di allora, non stavamo nella pelle. Anche sua madre acconsentì, dopo una serie di conciliaboli con la mia. Avevo letto da poco Anna Karenina col suo incipit “Tutte le famiglie felici si somigliano…”, lì a Gotham City era lo stesso (per i miei tutte le città erano uguali a Gotham City… “un incubo di metallo e pietra”) “tutte le famiglie severe si somigliavano”, “ogni famiglia tollerante era invece disgraziata…”, questo a loro inoppugnabile parere, ma nutrivo forti dubbi, fortissimi.

Ma dov’eravamo rimasti? Ah, si. Dopo la riunione di famiglie, nello stordimento generale, noi due, da sole, saremmo andate al cinema! Non fate l’espressione «Ahhh, e io chissà che m’immaginavo!», le ragazze delle “famiglie che si somigliano” non vanno di certo al cinema da sole, a Gotham i cinema erano l’equivalente di Rose Red, all’interno la sala si espandeva fino a risucchiarti e scomparivi dentro il perlinato delle pareti senza lasciare più traccia. Non serviva a nulla spiegare che “le altre”, quelle delle “famiglie disgraziate”, entravano e stranamente ne uscivano illese. Riuscivano a convincerti che si trattava di ultracorpi che avevano perfettamente copiato  le loro sembianze.
Come avevo fatto esattamente a far cambiare idea alla famiglia? Non lo ricordo!

Ricordo  che i miei occhi scintillavano e come un’innamorata al primo appuntamento mi preparai di tutto punto, pantalone bordeaux, camicia in tinta, accollata e rigorosissima, un filo di tacco, un filo di trucco e un sorriso che avrebbe fatto invidia al più capace plastinificatore.
Ricordo i giorni precedenti, una guerra civile, combattuta con gli sguardi affilati, tra me e mio padre. Dovevo a tutti i costi avere la meglio! Per lui, per Dario, il maestro, Dario Argento. Dovevo assolutamente vedere un suo film al cinema! E fu la sua locandina la miccia che mi armò. Vedere un suo film, in technicolor sul grande schermo. Non m’interessava il brivido della paura, ma l’inquadratura, la scrittura di un enigma attraverso la macchina da presa, la cura del dettaglio e un modo diverso di guardare le immagini. La paura nei sui film diventava poesia. E poi, nota da non trascurare, mi divertivo da matti.

Foto di Dario Argento, © dei rispettivi aventi diritto 
Anche G. la pensava come me, all’incirca, ma pur di andare al cinema era disposta a strizzare gli occhi davanti alle scene più crude.
Non impiegammo tempo, un saluto e appuntamento in piazza alla fine del film con mio padre che ci avrebbe riportato a casa e il suo sguardo che era la sintesi di tutti i divieti e le concessioni, lui non parlava, ti guardava e tu (io) leggevi il suo pensiero, parola dopo parola. La telepatia è possibile, lui ne era la prova.
Eravamo davanti all’ingresso, un vecchio edificio liberty, era la prima volta che entravamo in quel cinema, a dire il vero ci parse strano che proiettassero il film proprio lì, una sala per noi sconosciuta, ma erano dettagli che in quell’istante non prendemmo neanche in considerazione.

Alla biglietteria il ragazzo alzò gli occhi ci scrutò per qualche secondo, prima l’una, poi l’altra, immobile, con la bocca semi aperta, muovendo solo le pupille «Avete bisogno?» disse. E si, avevamo bisogno di due biglietti. «Ma siete sicure? Forse avete sbagliato cinema…». «Ma guarda questo cretino», pensai «solo perché è un film di Dario Argento… , ma cosa crede, solo perché siamo ragazze dovremmo avere paura…» Questi pensieri si materializzarono sulla mia faccia e con un tono di estrema arroganza gli dissi di fare meno lo spiritoso e darci i biglietti.

Fece una smorfia come per dire “mah! Vabbè!” e cosa insolita si alzò e ci accompagnò fino in sala. «Sedetevi vicino l’uscita, se dovesse succedere qualcosa chiamate» disse, sempre con quell’espressione dubbiosa che mi cominciò ad irritare. «Guardi, nessuno la disturberà, stia pure tranquillo!» disse G. con un tono seccato, respirando a fondo fino a farsi gonfiare le narici. La guardai con ammirazione per quella frase, pensai a noi come due giovani eroine che in quel luogo banale, davanti ad un ragazzo ottuso che continuava a fissarci da dietro le spesse lenti macchiate di unto, una pertica curva con le mani in tasca, resistevamo per affermare il diritto di guardare, sedute in prima fila, la paura come chiunque altro in quel cinema. Ci fossero stati due maschi al nostro posto, avrebbe dato loro i biglietti senza neanche considerarli.  

La sala era piuttosto vecchia, con i sedili in legno, un odore stantio e cosa strana c’erano poco più di una decina di persone, tutti vecchi, seduti uno distante dall’altro. Io e G. ci guardammo in faccia e decidemmo di sederci proprio vicino l’uscita, era l’unico posto a tre sedute, pensammo di occupare il terzo con le giacche così nessuno ci avrebbe disturbate. Nel sederci il vecchio seduto due file avanti la nostra si voltò.  Un uomo piccoletto, magro, con un cappello nero in testa, la faccia scura e stropicciata e una bocca piena di denti gialli che ci mostrò in una smorfia di sorriso, emise un rantolo enfisematico e poggiò il mento sulla spalliera con i due occhi sottili fissati su di noi.

Freddy Krueger, Nightmare
G. dentro il suo tailleur celeste, con la gonna appena sotto il ginocchio, si tolse la giacca, la camicia bianca e leggera, chiusa da un delicato fiocco, lasciava alla trasparenza del tessuto il contorno delle spalle e delle braccia. G. mi guardò senza parlare e si rimise la giacca prendendo posto. Ad una ad una le teste si girarono nella nostra direzione, in un campo di girasoli la scena sarebbe stata un vero spettacolo,  pensai a Dario Argento nascosto dietro al tendone alle nostre spalle con la telecamera e al colpo di scena che ci aspettava, i colori erano perfetti, le facce, la teatralità del luogo così decadente e noi assolutamente fuori posto.  Il rumore dei tacchi di una signora di mezza età spostarono l’inquadratura. Un’andatura pesante, il collo corto e robusto, la faccia bianca, i capelli ossigenati  di un biondo stoppa, un vestito scollato e aderente da vecchia panterona sovrappeso. Diede un’occhiata rapida, si fermò su di noi, e proseguì verso il bagno che si trovava in fondo al corridoio alla nostra destra. Non c’era dubbio ora, ci trovavamo sul set di Fellini e mi aspettavo che dal soffitto calassero di lì a poco un’altalena e tutte quelle facce si sarebbero precipitate sopra di noi ghignando a ripetizione.

Le luci si spensero, finalmente, non ne potevo più e neanche G., lo so perché restammo silenziose per tutto il tempo e questo non era normale, essere lì da sole fu un evento che avrebbe richiesto come minimo una mezz’ora di concitate considerazioni. Del tipo “Ma ci pensi? Da sole… e hanno detto si” e frasi simili, che a pensarci davvero il fatto di essere da sole senza genitori dentro al cinema era relativo, lo straordinario stava tutto nell’intenzione, nell’idea di vivere un’esperienza tanto ordinaria come fosse unica.

Iniziarono a scorrere i titoli di testa, «Sarà pubblicità» dissi a G. che mi fissava inquieta. La scena si aprì con lei che correva sulla spiaggia e lui che le andava incontro. E s’incontrarono, e si abbracciarono, e si tolsero i vestiti, tanto velocemente che se avessi fatto così la sera prima di coricarmi avrei guadagnato 2 ore di sonno e la telecamera spostò l’inquadratura, anche noi.


In sincrono, come due pupazzetti di latta a cui è finita la carica, ci piegammo letteralmente dietro lo schienale, la testa tra le ginocchia e un’esplosione di boccheggi, ansimare, grida affannose avevano preso il posto dell’ossigeno, erano dentro le orecchie, il naso, la bocca, anche negli occhi, si li sentivo sfondare ogni apertura. «Cos’è?» fu la parola che riuscimmo a dire, la pronunciammo insieme, soffocandola in mezzo ai denti. E come in un carosello, vidi la faccia del ragazzo alla biglietteria, quella del vecchio che si moltiplicò nella mia testa e mi sembrò di sentire il suo rantolo scivolare vischioso dentro i capelli. «Che facciamo?» disse G., «Come usciamo?» risposi io, continuavamo a restare rannicchiate ed a fissarci le scarpe, non avevo mai studiato un paio di scarpe così a fondo, e poi svanì tutto e lo spazio venne occupato dalla faccia di mio padre, la sua espressione, di rimprovero, di dispiacere, di accusa. C’era solo lui davanti ai miei occhi. E vi assicuro che il potere di mio padre di trasmettere il pensiero, il suo, era devastante. In mano a dei ricercatori sarebbe diventato un’arma micidiale.

Ritratto di mio padre, un mio disegno

L’ansimare era incessante, l’immagine fissa di mio padre, mi faceva male lo stomaco, dovevamo andare via, ma per farlo ci saremmo dovute alzare, passare davanti alla biglietteria e sopra ogni cosa uscire dal cinema, in un’ora di pieno passeggio. Avevo la testa rovente, mi sembrava di sciogliermi, neanche fossi stata una scultura di Madame Tussauds o forse avrei voluto esserlo e scivolare fuori come un rigagnolo d’acqua. «Forza, facciamo finta di essere proprio in un film di Argento», a queste parole G. esclamò «Ehhh», «Ma si, siamo braccate da uno psicopatico», continuai, «è notte, è deserto, nessuno può aiutarci, ora usciamo velocemente, nessuno potrà vederci, perché non c’è nessuno!».

Con la stessa rapidità con cui i due si erano tolti i vestiti, io mi assicurai di averli addosso, attraversammo, senza guardare niente, il breve spazio chi ci separava dall’ingresso, e come una raffica passammo davanti all’occhialuto e ci ritrovammo sul marciapiede.

«Cosa fate qui!?» disse una voce che mi sembrò provenire da un pozzo fondo quanto la terra. Erano tre nostri amici, e noi due barcollanti come chi si è appena alzato dal letto dopo una lunga febbre, ci sorreggemmo tenendoci per il braccio. Non ci crederete mai, fuori pioveva. E di sicuro dentro quella sala un ultracorpo si era sistemato in me, perché fu lui a parlare «Non vedete, ci stiamo riparando dalla pioggia» disse. «Certo che potevate spostarvi cinque metri più avanti, giusto davanti al cinema porno vi mettete?» furono le parole di  M..

G. mi strinse il braccio, una stretta complice, sorridemmo. Non avevamo bisogno dell’ombrello, iniziammo a camminare con l’espressione di chi va nudo incontro al sole per la prima volta.
«Almeno un’occhiata avremmo potuto darla. Oramai eravamo lì» fu la nostra unica considerazione, rimaste sole, scoppiamo a ridere e non ne parlammo mai, mai.

Dario Argento lo andammo a vedere dopo qualche tempo, assicurandoci bene dove sarebbe stato proiettato, grazie alla passione per i suoi film avevamo conquistato il diritto di andare al cinema da sole e questo lui non lo saprà mai… a ripensarci eravamo andate oltre, anche senza volerlo il nostro momento di “libertà” venne consumato in un cinema porno, una cornice adatta direi per “consumare”, anche se ad occhi chiusi, ma questo è irrilevante e forse la prima volta accade quasi sempre così, gli occhi si tengono chiusi!  

Ripenso a quel candore con commozione, qualche briciola l’ho sempre conservata per ritrovarlo.
«Tutto si integra nell’eterno ritorno: ciò lo sanno gli umoristi, i santi e gli innocenti.», scriveva Pasolini, come vorrei essere tutti e tre!

(Ci ritroviamo a marzo,  il prossimo mese, martedì 10. Io ci sarò… e voi?)


20 commenti :

  1. "Giuseppe, tu che hai le parole"
    Detto da una che c'ha il negozio pieno.
    Sai, credo, quanto ami il ricordo, e qui ogni parola ha il suo profumo.
    Vabbeh, la faccio corta, magnifico.

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  2. Accipicchia con questo complimento l'adolescente che c'è in me saltella*) Grazie Giuseppe, me lo tengo stretto. Pensa che a volte certi miei ricordi disarmano anche me, non che adesso certe situazioni non mi accadano più, credo che una certa candida innocenza vada sempre salvaguardata in ogni cosa che facciamo. Io scrivo ogni tanto, per cui mi batti, il mio è un negozietto, tu hai l'iper delle parole ;)

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    1. Ah, ma allora quel "tu hai le parole" era una cosa quantitativa, non qualitativa.
      Allora ti dò ragione, ti batto di brutto ;)

      (funziona il "rispondi" finalmente, usalo anche te!)

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    2. Assolutamente, mi riferivo sempre alla qualità, Giuseppe: tanta! Vedi, scrivo poco e la qualità scarseggia, vengo fraintesa ;)

      Si sono riuscita a sistemare il codice, mi devo solo abituare alla sua esistenza :)

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  3. io invece una volta sono entrato in un cinema porno a milano. ero appena diventato maggiorenne. tutti che mi parlavano della situazione, eccetera e ci andai. vidi un film assurdo e fui avvicinato da un ometto che mi mandò sorrisini e bacetti per tutta la pellicola. e mi fermo qui. ;)

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    1. Oggi forse la situazione sarà cambiata, non conosco la realtà dei cinema porno. Chi è in cerca di "relazioni" suppongo abbia anche altri luoghi. C'è da dire che nella cultura generale resta un argomento tabù, anche se si finge una certa leggerezza sull'argomento. A dire il vero è, soprattutto sul web, devastante, ho letto delle analisi condotte in merito è posso assicurarti che ne viene fuori uno spaccato molto triste e poco rassicurante. Speravo che i giovani fossero andati un po' avanti ;) Io per diletto a certi "orrori" preferisco l'horror ;)

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  4. Ahahaha, ma come cavolo avete fatto a sbagliare?? Oo
    Per fortuna non è successo niente di grave... potevate dar retta al ragazzo della biglietteria, che sicuramente dalle vostre risposte piccate vi avrà preso per le classiche femministe incazzose XD

    Moz-

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    1. È semplice. Il Cinema non aveva all'esterno alcuna connotazione, tutti lo sapevano, tranne noi. Se una cosa non t'interessa, difficilmente t'informi. La locandina, questo l'ho scoperto dopo, era un'anticipazione del film che sarebbe stato proiettato in un'altra sala. Hai ragione, ma in quel momento pensavo alle solite battute, del tipo: è un film "di paura", siete ragazze "vi spaventate". Avrebbe dovuto semplicemente chiedere la carta d'identità, interrogativo che dopo mi sono posta, e non avendo ancora 18 anni, non poteva farci entrare. In quel caso avremmo capito! Per me resta un episodio divertente, adesso!

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Le prime volte Grazia sono come i quadri, più le guardi e più particolari vengono fuori ;) Grazie arrossisco!
      ... e grazie per essere passata :)

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  6. Che buffo, Santa! Ma quando mai???? Ma lo avevate poi raccontato ai vostri genitori? Credo di no, vero? Bella prima volta, bello raccontare, ma l'ho già detto, mi pare… :-)
    Io a quell'età ero un a "bambocciona", i film dell'orrore mi facevano orrore, da non dormirci, proprio, altro che inquadrature e suspence, la suspence mi faceva alzare dalla sedia e andare via. Punto! :-( Forse un film porno mi avrebbe fatto lo stesso effetto? Chissà … più o meno… Complimenti per il ritratto, ti invidio un poco, io ero convinta di non poter riuscire ad imparare nulla, figuriamoci il disegno !!! Davvero bello!

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    1. No Matilda assolutamente, a mia madre, pensa solo alcuni anni fa. Non so dirti che effetto ci avrebbe fatto vedere quel pomeriggio un film porno, da adulta è un genere che non mi appartiene. Ma la prossima puntata ti svelerà qualcosa in merito. Provando ad essere meno prolissa. Il cinema di Dario Argento l'ho sempre considerato metaforico. Ovviamente mi piace, anche, l'horror (amo tantissimi generi, come la vita). Sono film! Alcuni straordinari per gli effetti speciali, altri "comici" nonostante "l'orrore", ma di orrori reali e tragici ne vediamo tutti i giorni. Come la scrittura, avevo abbandonato anche i miei tentativi di disegno, da autodidatta i risultati sono quelli che sono, il ritratto poi è difficilissimo, riuscire ad imprimere chi è l'altro e te stesso in un unico tratto. Ma le tue parole m'icoraggiano, chissà magari riprendo con più forza. Grazie:)

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  7. Uao! Questo si` che e` un tributo d'amore al Maestro - con tutta l'innocenza, il candore e la sincerita` che ci hai messo sono certa che ne sarebbe onorato! bravaaaaa

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    1. Detto da te Miriam, colta conoscitrice del Maestro e non solo, è più che un complimento! Mi emozioni! Il Maestro ahimé non lo saprà mai. Magari mi prendo di coraggio e glielo faccio avere così avrò la seconda prima volta con Dario Argento :) Benvenuta e grazie ^_^.

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  8. Io non mi ci sono abituata mai, né all'horror al cinema, né al porno, ovvio! :-) No, a proposito del ritratto, è vero, credo sia una delle cose più difficili e delicate. I ritratti dipinti sono un miracolo, a mio parere, infatti mi piacerebbe molto qualcuno che fosse capace di ritrarre me, impresa difficile e delicata ;-)

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    1. I film devono piacere assolutamente, è questo il bello.
      Io mi sono cimentata nell'autoritratto, sempre per gioco ovviamente, ma dovrei riprenderlo parecchio. È una sensazione strana, per noi moderni e veloci, i sottostress insomma, posare e farsi catturare lentamente. Io ancora non sono tanto esperta, ma sono sicura che tra i vari blogger ci siano anche artisti, talentuosi, magari vicino a te... potresti farti tentare. La bellezza delle prime volte!

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  9. Bellissimo questo post amarcord. Grazie per la condivisione di questo spicchio di vita adolescenziale. E complimenti per la tua abilità anche con il disegno, oltre che con le parole. Buona settimana. Un abbraccio.

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    1. Grazie Maria... brevi momenti che da adulta guardo con tanta tenerezza, parentesi di "candore", mi piace pensarli così. Un abbraccio anche a te.

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