«E sempre ho negli occhi... la terra che si mescolava ai nostri
baci, quell’abbraccio profondo della luce.
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Un letto profondo, la notte di Natale, nel tuo paese dove non sono mai stata — dove soltanto da bimbo hai riso di gioia. Stanotte. T’aspetto per partire — son sola nel mondo, oh letto profondo
anche questo, se tu non venissi. Tu che tanta gioia devi avere — e ami il mio dolore, dolore d’aver già tanto guardato l’acqua fluire. Ma il tuo fiume, lo vedrò? Questo strazio, d’amarti, di volerti felice, e di non poter tramutarmi in una cosa di freschezza, rosa per la tua fronte, amore, amore. Non poter che consumarmi, sempre più. Non ho più voce per parlarti. Soltanto le mani sono ancora dolci. Stanotte, ti daranno il sonno? Nel tuo paese. E poi addormentarmi — e svegliarmi il mattino di Natale, bimba. C’è un bimbo, un fratellino vicino a Rina — oh Dino, Dino, che cosa si scioglie nel cuore di Rina? Silenzio, tienimi le mani. Nessuno m’ha detto mai, da bimba, una favola bella. Guardavo le stelle, come te. Stanotte non ci saranno. Ci saremo noi, favole, stelle, cose lontane, irraggiungibili. Nessuno mai più ci coglierà, anche se crederà vederci, sentirci. Stelle. Tienimi le mani, prendine tutta la dolcezza, toglimi tutto, sono tanto felice di morire, ma tu ma tu… Tremo, mi guardo intorno, non vieni ancora, l’acqua scorreva…
Sibilla Aleramo a Dino Campana (Archivio Aleramo, 24 dicembre 1916?)
Sibilla Aleramo (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960) |
Son tanto brava lungo il giorno.
Comprendo, accetto, non piango.
Quasi imparo ad aver orgoglio quasi fossi un uomo.
Ma, al primo brivido di viola in cielo
ogni diurno sostegno dispare.
Tu mi sospiri lontano; <Sera, sera dolce e mia!>
Sembrami d'aver fra le dita la stanchezza di tutta la terra.
Non son più che sguardo, sguardo sperduto, e vene.
Sibilla Aleramo (Momenti 1912-1920)
Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.
Sibilla Aleramo a Dino Campana (Mugello, 25 luglio 1916)
come
descriverti lo sguardo idiota di questa gente dopo esser stati baciati dal tuo!
Rina io potrei rinunciare a te, ma per sempre. Cosi bella come un rêve potrei
dimenticarti solo per andare molto lontano e non tornare più. Davanti alle cose
troppo grandi sento l’inutilità della vita. Il mare ieri era discretamente
bello. Sono andato di notte al mare. Avevo visto i monti pisani velati da cui
sorge la luna di D’annunzio senza foco di cui leggemmo e due aeroplani che
volavano sul treno. Mia vergine perché leggemmo d’Annunzio prima di partire? Nessuno
come lui sa invecchiare una donna o un paesaggio. Mio amore come vuoi che ti
ami? Pallida, con una vita senza foco come col suo diritto il macchinista
stinge il paesaggio e viola il ciclo che non conquista? Sciocchezze? Ma sai
quanto ne ho sofferto!
Ecco quello
che ci divide. Non ho visto e non vedrò nessuno. Non troppe cose dimmi. Pensa
che per vivere l’assurdità del nostro amore hai bisogno di tutta la tua grazia.
Quando sempre mai forse parole giravano nel soffitto del mio cervello. La città
è una serie di cassoni balordi. Appiccicato alla spallina del passeggio guardo
il mare senza parole come io sono senza pensiero.
Mio amore mio
amore La Gorgona è un dosso lontano sul mare abbandonata laggiù nei tramonti.
Tu ora mi conosci e potremmo abitare lontani se non mi abbandoni col pensiero.
Una volta in Sardegna entrai in una casa con fuori una vecchia lanterna di
ferro che illuminava la parete di granito. Fuori la via metteva sulla costa
pietrosa che scendeva dall’altipiano al mare. Questo ricordo che non ricorda
nulla è cosi forte in me! La costa bianca di macigni aveva bevuto il tramonto
cupo e rosso che chiudeva l’isola e ora colla lanterna rugginosa solo le stelle
sull’altipiano brillavano a me a Garcia. Io baciai la parete di granito senza
pensare e non so ancora perché. Ricordo che in quella casa stava la sarda
moglie dell’alcoolizzato amico dell’amico del nostro amico. Bevemmo il moscato
bianco salmastro di Sardegna ed è idiota come mi ricordo di tutto questo. La
mia padrona e dell’Isola del Giglio dove io farei certamente bene ad andare ad
abitare per un anno almeno. Tu non ne vedi la possibilità?
Dovremmo
ancora vedere le Alpi. Nietsche scendeva di là al mare colla sua sfida. Aimè
Rina perché non mi lasci morire? Là l’edelweis non è d’Annunziano e la Dora
scende in tumulto e il più leggero dei baci crea ancora forse come quando
dicevo
Come delle torri d’acciaio
Nel cuore bruno della sera
Il
mio spirito ricrea
Per un bacio taciturno.
Ah miseria di
questi ritorni. Puoi amarmi? ancora? ancora? ancora? Non ti scriverò. Le mie
lettere sono fatte per essere bruciate.
Dino Campana a Sibilla Aleramo (Livorno, 4 gennaio 1917)
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.
Dino Campana a Sibilla
Aleramo, 1917
II. Il viaggio e il ritorno
Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per
i ritorti vichi dentro dell’ombra ardente, al colle al colle. A l’ombra dei
lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce
bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e
levava nell’odor lussurioso dei vichi, e la bianca notte mediterranea scherzava
colle enormi forme delle femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di
svellersi dal cavo dei lampioni. Esse guardavano la fiamma e cantavano canzoni
di cuori in catene. Tutti i preludii erano taciuti oramai. La notte, la gioia
più quieta della notte era calata. Le porte moresche si caricavano e si
attorcevano di mostruosi portenti neri nel mentre sullo sfondo il cupo azzurro
si insenava di stelle. Solitaria troneggiava ora la notte accesa in tutto il
suo brulicame di stelle e di fiamme. Avanti come una mostruosa ferita
profondava una via. Ai lati dell’angolo delle porte, bianche cariatidi di un
cielo artificiale sognavano il viso poggiato alla palma. Ella aveva la pura linea
imperiale del profilo e del collo vestita di splendore opalino. Con rapido
gesto di giovinezza imperiale traeva la veste leggera sulle sue spalle alle
mosse e la sua finestra scintillava in attesa finché dolcemente gli scuri si
chiudessero su di una duplice ombra. Ed il mio cuore era affamato di sogno, per
lei, per l’evanescente come l’amore evanescente, la donatrice d’amore dei
porti, la cariatide dei cieli di ventura. Sui suoi divini ginocchi, sulla sua
forma pallida come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell’ombra, tra le
innumerevoli luci fallaci, l’antica amica, l’eterna Chimera teneva fra le mani
rosse il mio antico cuore.
Dino Campana (da Canti Orfici, La Notte – 1914)
I Canti Orfici di Dino Campana dalla voce amata e odiata del discusso, irriverente, controverso e istrionico Carmelo Bene
(Le immagini in questo post sono prese dal web a solo scopo illustrativo. Copyright dei rispettivi aventi diritto)
Quale più struggente tempo una domenica può offrire? Ricordare quello di quell'amore e di quelle vite così tormentate e alte e pure come solo l'amore e la poesia possono donare.
RispondiEliminaBuonasera Matilda. L'amore è così per tutti, quello fatto di passione (abbiamo un solo termine per un'infinità di amori ahimè), un tumulto. Loro ne hanno lasciato una traccia universale e senza tempo. E forse, proprio grazie a questo amore, a Sibilla, lui solitario e folle ha vissuto. Quando viviamo qualcosa pienamente, solo allora possiamo dire di aver vissuto.
EliminaCi hai regalato una vera perla cara Santa n questa domenica tutta dedicata agli acquisti di Natale..mentre io spazio tra queste righe lontano mille miglia da tutto quello che mi circonda, in un altro spazio e tempo, dove queste letture mi aiutano ad arrivare!
RispondiEliminaGrazie!
Un bacio!
Buonasera Nella. Sono felice di averti trattenuta un istante nella poesia... magari acquisteremo più poesia, più libri, più musica, più arte e se per questo serve il Natale ben venga. Intanto di auguro di arrivare dove vuoi arrivare. Un bacio anche a te.
EliminaLe parole e i versi di Dino Campana sono così belli e veri da fare male.
RispondiEliminaLei no: lei è presa da se stessa, dall'infatuazione, dall'innamoramento dell'amore maledetto e sofferente.
Lei è letteratura, lui è vita.
Ma paradossalmente lui è un grande della letteratura; lei è dimenticabile.
Buongiorno Ody. Sono più che d'accordo con te sulla poesia, come ho espresso, nel commento a Matilda, lui lo ha "vissuto" pienamente. A lei dobbiamo dare il merito, per la loro storia, così come a Carmelo Bene, di aver regalato ad una platea più vasta i versi di un grande poeta, lui indimenticabile. Lei “La lezione di una coscienza femminile in anticipo, quale emerge da “frammenti di lucida intuizione” – che Sibilla stessa intuisce essere la sua più preziosa eredità alle donne che verranno dopo di lei – sarà proprio quel “narrarsi” fatto di selvaggi pudori e selvagge nudità, di follia e improvvise illuminazioni, con cui le donne hanno cominciato a costruire la loro individualità fuori dai modelli imposti.” (http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/sibilla-aleramo-rina-faccio/)
EliminaSanta, non c'entra nulla, ma... stanotte ti ho sognata! cioè, ho sognato che una persona mi parlava di te e mi diceva che eri una "psicologa culturale". Pensa un po'! :-D
RispondiEliminaCiao Silvia, lo dico sempre che bisogna cenare leggero... invece di sognare Dino Campana che ti detta un quaderno inedito delle sue poesie, sogni di me... è pensa un po', giorni fa ho detto: ma perché non ho studiato psicologia! Quando si dice che il pensiero viaggia...
EliminaDino Campana e Sibilla Aleramo li amo dal tempo del liceo ... Nel 2002 andai a vedere "Un viaggio chiamato amore", la trasposizione cinematografica della loro assai travagliata storia d'amore. Dici bene "Quando viviamo qualcosa pienamente, solo allora possiamo dire di aver vissuto". Grazie davvero di questi accenti poetico/esistenziali così toccanti. Un abbraccio.
RispondiEliminaCiao Maria, le storie d'amore ti accendono e ti dilaniano. Quando si ama i sensi dilatano, un vasto imbuto dove scivolano mondi e non si hanno mai contenitori tanto capienti per contenerli. Le storie d'amore ci rendono dei. Peccato però che siamo uomini e l'Olimpo è faticoso da scalare, c'è chi si arrampica con le unghie, a fatica e chi invece stanco torna indietro o si ferma a guardare l'altro che vorrebbe la vetta, ma la scalata in solitaria non si chiama più amore. Gli esseri umani si stancano presto e ci resta... la poesia. Un bacio
EliminaBuon Natale.....sotto una coperta d'inverno. La stessa
RispondiEliminaBuongiorno Anonimo. Buon Natale anche a te e... che fortuna ad avere la stessa coperta in un mondo dove tutto muta, anche le stagioni.
RispondiEliminaNon sono piu' di quattro.......quattro e' un numero lunghissimo, brevissimo, attesissimo...e' il numero della piu' bella meraviglia che possa essere nell'esistenza sotto la stessa coperta...
EliminaGran bella coppia... su Dino Campana mi ricorodo una splendida canzone di Bubola.
RispondiEliminaCiao Alli. Non la conosco... la cercherò. Se è splendida merita di essere ascoltata. Grazie per la segnalazione :)
EliminaNon sono piu' di quattro le stagioni.......quattro e' un numero lunghissimo, brevissimo, attesissimo...e' il numero della piu' bella meraviglia che possa essere nell'esistenza sotto la stessa coperta...
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