Patagonie
II
La patria si scopre
petalo a petalo
sotto gli stracci
perché da tanta solitudine l'uomo
non estrasse fiore, né anello, né cappello:
non trovò in questi altipiani
che la lingua
dei nevai,
i denti della neve,
il ramo turbolento
dei fiumi.
Ma questi monti
mi rasserenano,
la pace scontrosa,
il corpo della luna
sparso
come uno specchio rotto.
Dall'alto accarezzo
la mia pelle, i miei occhi,
la mia tristezza,
e nella mia estensione vedo l'ombra:
la mia Patagonia:
appartengo agli aspri conflitti,
di qualche stella immensa
che cadde sconfiggendomi
e solo sono una radice ferita
del rozzo territorio:
mi bruciò la ciclonica neve,
le schegge del gelo,
l'insistenza del vento,
la crudeltà chiara, la notte pura e dura
come una spina.
Chiedo
Chiedo
alla terra, al destino,
questo silenzio
che m'appartiene.
Pablo Neruda (da Memoriale di Isla Negra -
Il cacciatore di radici, 1964)
traduzione a cura di Giuseppe Bellini
Hai ricordato il nome del traduttore: ti adoro.
RispondiElimina(Adoro anche Neruda, naturalmente)
È stata la prima lezione che mi hai dato leggendoti. Cercherò di rimediare con i vecchi post (fortuna che ho iniziato da poco). Grazie per la bella lezione. Senza i traduttori non avremmo mai potuto godere delle grandi penne. Siete grandi anche voi.
RispondiElimina:-))
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