La
Belle Dame sans Merci
Perché soffri, o cavaliere in armi,
E
pallido indugi e solo?
Sono qui avvizziti i giunchi in riva al lago
E
nessun uccello cantando prende il volo.
Perché soffri, o cavaliere in armi,
E
disfatto sembri e desolato?
Colmo è il granaio dello scoiattolo,
e il
raccolto è già ammucchiato.
Scorgo un giglio sulla tua fronte,
Imperlata
d’angoscia e dalla febbre inumidita;
E
sulla tua guancia c’è come una rosa morente,
Anch’essa
troppo in fretta sfiorita.
Per i prati vagando una donna
Ho
incontrato, bella oltre ogni linguaggio,
Figlia d’una fata: i capelli aveva lunghi,
Il
passo leggero, l’occhio selvaggio.
Una ghirlanda le preparai per la fronte,
Poi
dei braccialetti, e profumato un cinto;
Lei mi guardò come se mi amasse,
E
dolce emise un gemito indistinto.
Sul mio cavallo al passo la posi,
E altro
non vidi per quella giornata,
Ché lei dondolandosi cantava
Una
dolce canzone incantata.
Mi trovò radici di dolce piacere,
E
miele selvatico, e stille di manna;
Sicuramente nella sua lingua strana:
Mi
diceva, “Sii certo, il mio amore non t’inganna”.
E mi portò alla sua grotta fatata,
Ove
pianse tristemente sospirando;
Poi i selvaggi suoi occhi selvaggi le chiusi,
Entrambi
doppiamente baciando.
Poi fu lei che cullandomi,
M’addormentò
– e, me sciagurato,
Sognai l’ultimo sogno
Sul
fianco del colle ghiacciato.
Cerei re vidi, e principi e guerrieri,
Tutti
eran pallidi di morte:
“La belle dame sans merci”, mi dicevano,
“Ha
ormai in pugno la tua sorte”.
Vidi le loro labbra consunte nella sera
Aprirsi
orribili in un grido disperato,
e freddo mi svegliai ritrovandomi lì,
Sul
fianco del colle ghiacciato.
Ed ecco dunque perché qui dimoro,
E
pallido indugio e solo,
Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago,
E
nessun uccello canta, prendendo il volo.
John Keats, ballata 1819
traduzione a cura di Silvano Sabbadini
traduzione a cura di Silvano Sabbadini
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