venerdì 6 dicembre 2019

Katanga - Le donne pugili dell'Uganda: un pugno alla miseria e alla violenza.



Oggi voglio raccontarvi di Moreen Ajambo, lei è una donna pugile, si allena in un luogo improbabile: il Rhino Boxing Club nel ghetto di Katanga, uno dei più grandi bassifondi della capitale ugandese, Kampala. Nella palestra di fortuna, “Niente acqua potabile né elettricità. Il bagno è una buca in un angolo della palestra. Qui si allenano ragazze e ragazzi con incredibili storie di povertà. Molte delle ragazze, giovani atlete e mamme che vivono qui, hanno scelto la boxe come via di fuga da una vita di terribili violenze.” (Kope Onlus)

Senza lavoro, tuguri fatiscenti come casa e spesso neanche quelli, queste donne hanno visto nella boxe l’unico modo per sopravvivere alla violenza, alla criminalità e alle inumane condizioni della baraccopoli di Katanga.




Perché parlarvi di Moreen Ajambo e di storie di boxe al femminile? La faccio breve:

1. Nei giorni scorsi si è molto parlato di donne e violenza, il tam tam mediatico a ridosso del 25 novembre, la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

2.  Eni Aluko (e chi è?), la calciatrice nigeriana della Juventus Women la scorsa settimana ha lasciato la squadra per tornare in Inghilterra, si è sfogata così in una intervista al The Guardian: "A volte Torino sembra un paio di decenni indietro nei confronti dei differenti tipi di persona. Sono stanca di entrare nei negozi e avere la sensazione che il titolare si aspetti che rubi" (Ansa.it). Qui nessun tam tam mediatico, almeno se si confronta con il collega Balotelli.




3. Il 29 novembre è scattata l’ora X del Black Friday, la corsa all’acquisto incontrollato, soprattutto negli Stati Uniti, dove per prendere un oggetto a buon mercato arrivano anche a menarsi. (del Black Friday ne avevo parlato a modo mio qui Black Friday: la corsa di Edith Garrud e delle suffrajitsu)




4. Si avvicinano Natale e Capodanno ed è l’apparato digerente il principe indiscusso delle feste. Cibo, cene, pranzi, dove, come, quanto. Sprechi. Con i dovuti consigli per non ingrassare durante le feste.




Come al solito mi sono imbattuta in una foto (che dirvi, a me succede così), vincitrice del concorso World Press Photo 2019 per la categoria foto e storia dell'anno per lo Sport, “Boxing in Katanga” del fotografo norvegese John T. Pedersen.




Guardando lo scatto l’ho visto come una ricapitolazione di tutti i miei pensieri disordinati: donne, violenza, immigrazione, Africa, “a casa loro”, odio, consumismo, povertà.

Tutto in uno, un po’ come con amara ironia, in un epoca di profondo razzismo (davvero lontana da noi che non sappiamo più cos'è il razzismo, dovremmo metterla tra le parole dimenticate. Mah!), dichiarava, a proposito di odio e svantaggi, Sammy Davis jr:
“Sono un ebreo, negro, con un occhio solo.”  E ancora:  “Sono portoricano, ebreo, nero e sposato con una donna bianca. Quando mi trasferisco in un quartiere, la gente comincia a scappare in quattro modi contemporaneamente.”



Si dice addirittura che l’occhio gli fu cavato per la sua relazione con l’attrice “bianca”  Kim Novak. Il mondo dello spettacolo, il suo talento gli diedero la possibilità di attraversare la vita sicuramente con più facilità e agi che se fosse vissuto povero in una suburra.

Così  ho ripensato alle storie di boxe, non tutte, ma molte di queste più che la voglia di emergere, di stare sul podio, sono la risposta alla miseria, il pugilato come riscatto sociale, una sorta di rivincita sulle botte che la vita da’.

Mi sono ritornate in mente le pagine di Toro scatenato di Jack LaMotta, Hurricane di Hirsch James S, Il re del mondo di David Remnick, A modo mio. Simona Galassi: storia di pugni e passioni di Dario Torromeo e Flavio Dell'Amore, e poi c’è il primo libro che lessi sulla boxe, e al primo si è sempre più affezionati, La sfida e altre storie di Boxe di Jack London.

Ho ricordato film che hanno lasciato il segno, ne cito solo alcuni,  Rocco e i suoi fratelli di Luchino visconti, Città amara di John Huston, Rocky di John G. Avildsen, Million dollar baby di Clint Eastwood.




Qualcuno non lo definisce sport, è violento, dicono diseducativo, sicuramente non è  una partita a scacchi, ma vorrei proprio vedere come si possa sopravvivere nella bidonville di Katanga, per giunta anche da donna, senza essere brutali. Una disumanità sudicia e malfamata senza altro scopo che la sopravvivenza, il pugilato qui diventa una via d’uscita, la fame, l’odio, la violenza vengono incanalati, diventano ancora sacrificio, ma anche disciplina, serietà, autocontrollo, resistenza (qui di resistenza ce ne vuole tanta) e soprattutto riscatto e il sogno di una vita più fortunata. Chissà magari qualcuno di loro riuscirà ad andare avanti, anzi ad andare via  e scoprirà che esiste anche il gioco degli scacchi.

Non amo il pugilato, se qualcuno lo volesse sapere, ma per un caso non sono nata a Katanga altrimenti sarei già morta o forse sarei sopravvissuta anch’io a forza di dare pugni. Ogni cosa va soppesata in base alle circostanze, altrimenti sono tutte minchiate. Tanto in strada non cambierebbe nulla, sarebbero sempre pugni dati e presi solo per respirare aria marcia (il business è tutt'altra cosa e fa sempre parte del marciume).

Moreen Ajambo è una delle donne nate e cresciute  nei bassifondi di Katanga, 30 anni e madre di 7 figli, una condizione normale a Katanga, le ragazze giovanissime hanno già molti figli, conosciuto ogni tipo di sopruso e nella maggioranza dei casi sono sole ad affrontare la miseria più disgraziata in un luogo dove tutto è a pagamento.




È una delle tante, un padre sconosciuto,  la madre e il patrigno morti di AIDS, costretta a vivere per strada ha conosciuto e usato solo la violenza.

“Ispirata dai film d'azione, ha iniziato a combattere. Rocky Balboa è diventato il suo film preferito e una fonte d'ispirazione. Quindi un pugile locale le ha detto di visitare il club di boxe e dopo la prima sessione di allenamento ha capito che ciò che voleva diventare era una pugile. Ajambo ora fa parte della squadra nazionale di boxe dell’Uganda…




Pedersen ha visitato l'Uganda nel 2018 per fotografare storie dei rifugiati sudanesi in Uganda ed è rimasto per quasi 3 settimane. Prima di partire ha trascorso i suoi ultimi 2 giorni a Kampala, dove ha fotografato la pugile Moreen Ajambo…

Uno dei motivi della sua visita è stata una donna pugile molto famosa Cecilia Brækhus (Cecilia Carmen Linda Brækhus), che rappresenta la Norvegia e che ha anche visitato il Rhino Boxing Club in passato. Come aveva già fotografato Cecilia e il mondo della boxe diverse volte, era curioso di vedere come sarebbe stato un club di boxe nel cuore di una “baraccopoli”. Il suo background lo ha aiutato quando è arrivato al Rhino Boxing Club a Katanga e gli è stato dato il permesso di fare fotografie.

Le maggiori sfide per le donne pugili sono in realtà al di fuori del ring. Il ministero dell'educazione supporta solo pochi pugili che sono stati selezionati per la squadra nazionale e i club locali non ricevono finanziamenti dal governo.




Il pugilato è un percorso di speranza e un'opportunità per una vita migliore fuori dai bassifondi. Quello che Pedersen voleva mostrare era l'atmosfera e l'ambiente. Se hai mai visitato una palestra di boxe o una palestra in generale, vedi che non è come la palestra a cui sei abituato…

Pedersen ha voluto catturare  la lotta solitaria di Ajambo per il suo futuro…

Ajambo combatte per la sopravvivenza e spera che un giorno riuscirà a liberare se stessa e i suoi bambini dai bassifondi.” (Martin Kaninsky – La storia dietro lo scatto)

In un luogo dove anche il costo del casco protettivo (obbligatorio nella boxe) è proibitivo, dove non esistono diritti né per donne né per uomini, dove di nero non si conosce il venerdì, ma ogni sacrosanto giorno, dove si aspetta non il Natale, perché di nascite,  senza feste e cenoni, ce ne sono fin troppe da sfamare, senza saperlo si aspetta solo una Pasqua di resurrezione, "la speranza" è solamente di poter dare un senso alla propria vita, perché fuori dal Rhino Boxing Club nel ghetto di Katanga niente ha senso. 

Tutto qui.




... mantieni la calma e vai avanti.


  • Le immagini di Moreen Ajambo provengono dal sito di John T. Pedersen che potete visitare qui johntpedersen.com, le altre provengono dal Web e sono presenti solo a scopo illustrativo. Copyright dei rispettivi aventi diritto che ringrazio.

13 commenti :

  1. Cara Santa, credo di poter dire che tutta la vita è una battaglia, oggi il colore non conta, tanto tra qualche secolo, il mondo avrà un solo colore, caffè latte.
    Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso.
    Tomaso

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    1. Buongiorno caro Tomaso, abbiamo inventato l'odio, abbiamo inventato la "razza", abbiamo inventato la discriminazione, tutto per interesse, potere, denaro. Chi è più forte tiene in scacco il più debole. Accade così in famiglia, sui posti di lavoro, nei rapporti sociali, tra Stati, fazioni, imperi economici... È proprio vero, hai ragione, la vita è una battaglia, ma così rischiamo tutti di perdere la guerra e il colore avrà poca importanza.
      Ti auguro un buon fine settimana e ti abbraccio con tanto affetto.

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  2. Una storia vera che mi tocca profondamente .
    Deve essere TERRIBILE vivere in quei ghetti...
    Come mi sento fortunata !!!
    Buon week-end . Laura

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    1. Grazie Laura per essere qui e condividere il mio pensiero. A volte ci lasciamo andare a facili considerazioni da una posizione per così dire privilegiata, c'è chi si dispera per non potersi permettere l'ultimo smartphone e un esercito di bambini minatori, destinati a morire, che scavano nel sottosuolo per estrarre il coltan per aumentare sempre più la potenza di un cellulare. Alle aziende e agli stati fa comodo, faceva comodo la schiavitù, manodopera gratis. Non erano poi tanto diverse le condizioni neanche da noi tra latifondi, miniere e industrie, il nostro riscatto è stato sicuramente più facile, vuoi per territorio, per risorse, ma se ci fai caso adesso stiamo assistendo lentamente ad un'inversione di marcia che è iniziata parecchi anni fa. In Africa è molto più complesso e intricato, questo ghetto è uno dei tanti e sarà sempre così, ci sono interessi economici e politici perché resti tale. Pensa ai bambini e bambine soldato, Uganda compreso, rapiti, brutalizzati e indottrinati per diventare armi da guerra. Insomma, i ghetti servono.E in tutto questo porre l'accento sulla condizione della donna è del tutto marginale. Qui è indistinto, bambine, bambini, donne e uomini.
      Scusami, mi sono un po' lasciata andare, ma come dici tu: è TERRIBILE!
      Un buon fine settimana anche a te.

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  3. Che post e che storia!
    Non possiamo nemmeno immaginare la vita di queste persone. Lontanissima dalla nostra, dalle nostre.
    Dal fare a pugni figuratamente, per prendere a morsi la vita e sopravvivere, lo si finisce a fare realmente in una palestra. Ottima opportunità, è un modo costruttivo per incanalare le energie, anche quelle che -tenute dentro- farebbero male.

    Moz-

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    1. Grazie mille Moz, concordo su ogni tua parola. Su certe realtà si possono fare solo chiacchiere dal di fuori, affrontarle da dentro è una storia molto diversa. Ammiro molto, sai, il lavoro dei fotografi e in questo servizio ho trovato una grande dignità.
      Buona settimana.

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    2. Vero, infatti le foto ritraggono forza e dignità.

      Moz-

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  4. Una storia significativa che porta a conoscenza di molti una realtà drammaticamente dimenticata ma ancora esistente. La box come speranza di una nuova vita.

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    1. Sembrerebbe un controsenso, vero Daniele? Ma non lo è, ci sono zone talmente oscure dove il pugilato appare leggiadro, quasi la danza classica...
      Una serena settimana.

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  5. E tanti non si rendono conto che l'essere nati in questa epoca ed in questo quadrante geografico non comporta alcun merito, solo fortuna. E dal loro (nostro) previlegio si permettono di odiare sbeffeggiare umiliare altri, avendo come unica motivazione per sentirsi superiori un origine a qualche migliaio di chilometri di distanza dall'inferno delle baraccopoli. Che tiristezza.

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    1. Sottoscrivo,Vera. Ieri ho avuto modo di scambiare qualche parola con un medico che opera proprio in Uganda. Mi raccontava che se nei centri rurali la povertà é una piaga, nelle baraccopoli dei grandi centri è un inferno, fogne a cielo aperto e violenza di ogni genere, nessuna dignità, nessun senso di appartenenza. L'avidità che oppressori e multinazionali hanno esportato li ha svuotati di ogni umanità, annientandoli... Ma sono modelli ripetuti in ogni dove, aborigeni, indiani d'America, e tutti gli altri... Si, tristezza davvero tanta.

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  6. Non capisco perchè il mio commento sia sparito, cose strane per me tecnologicamente parlando . Oggi con il telefono fisso isolato, qui sparito il mio commento, spesso invasione di hacker che pubblicizzano cose diverse..pazienza , ti riscrivo con tanto piacere. Mi sono stupita di questa iniziativa che non conoscevo, la trovo quasi magica e spesso le cose magiche diventano vere. Mai dire mai! Perchè non sfruttare al meglio questa opportunità.
    Un bacio enorme mia cara e uno stupendo 2020 per te!

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    1. Cara Nella, la tecnologia a volte ci solleva, altre è un vero impedimento. Spesso mi chiedo se ogni tanto un po' di sano isolamento non sia un bene, sempre che non ci si trovi in difficoltà, ovviamente :)
      Magari esistesse la magia, quella Buona, tutte queste tragedie potrebbero sparire. Ma restando coi piedi per terra, hai ragione, il Rhino Boxing Club, a modo suo,a Katanga é una magia...
      Un bacio e un augurio magico anche a te :*

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