Il teatro per la sua intrinseca sostanza è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali si formassero questa precisa coscienza del teatro considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco.
Paolo Grassi
Chi mi legge da un po’ oramai sa
bene quanto io ami l’arte in tutte le sue forme, una di queste forme è il
Teatro. Per ragioni che non sto ad elencarvi, nonostante la mia passione,
un’impresa che non mi è ancora riuscita è assistere ad un spettacolo al Teatro
Greco di Siracusa, mi manca.
Mi manca respirare una visione “originaria” del
teatro, qualcosa di antico, integrale, anzi meglio: integrato. Iniziato nel V
secolo a.C. prevedeva una perfetta fusione con il paesaggio, la collina di
Terminite, la vista della città, del mare, un’intreccio armonioso con la
natura.
Veduta del Teatro Greco di Siracusa Dipinto attribuito a Louis François Cassas – fine XVIII sec. |
Il teatro era il cuore della vita collettiva
della polis greca, tutta la popolazione partecipava alle rappresentazioni e gli
spettacoli (tragedie, drammi satireschi, commedie), duravano dall’alba al
tramonto. Erano un momento di festa e aggregazione, ma non solo questo, il
teatro era espressione culturale, politica, religiosa e anche agonistica,
coinvolgeva tutti allo stesso tempo.
L’organizzazione delle feste era gestita
dallo Stato che affidava ad uno dei cittadini più facoltosi la spesa necessaria
all’allestimento, il pubblico pagava un prezzo modico per l’ingresso a teatro e
per i cittadini più indigenti il prezzo per l’ingresso era corrisposto dallo Stato.
Che spettacolo questo teatro!
Il mio teatro, quello di oggi, si
apre con le campagne abbonamento, in autunno inizia la stagione teatrale con
i suoi cartelloni, si comincia molto molto prima con la scelta delle compagnie,
date, contatti, telefonate, mail, incontri, per arrivare ai titoli in
calendario.
Per le compagnie è la scelta
degli autori e dei testi, contemporanei, classici, avanguardia, sperimentale, i
provini, gli intoppi e poi ci sono loro i registi, gli attori che fanno del
teatro il teatro. Nonostante il teatro partecipativo e il declino della regia
teatrale, l’attore rimane al centro della scena, tutto ruota intorno a lui e alla
sua carica emozionale.
Così la progettazione degli arredi,
delle luci, i giochi di prospettive e illusioni. Scenografie fisse, meccaniche,
allestimenti astratti, neorealistici, contemporanei o avveniristici. In due
parole: lo spazio e la drammaturgia, questo è il teatro.
Dietro le quinte un lavoro enorme
che ha come fine il pubblico: ingraziarlo, prevedere i suoi umori e farlo
accomodare in poltrona.
Allegria e lacrime, piacere e
sudori, realizzazioni e teste contro il muro, niente, poca cosa, tutto si
conclude in platea, è lo spettatore a decretare il successo o l’insuccesso. “Mentre
può esistere un teatro senza attori, non può esistere un teatro senza
spettatori.”
Ma chi è lo spettatore? Di sicuro
non è più il pubblico comunità del passato,
si è spezzettato, una fetta, forse quella più grossa, chiede di essere
intrattenuto figlio com’è della televisione, internettizzato fino allo spasmo, segue
la logica della notorietà, vuole un prolungamento della Tv, facce note, best
seller, tutto dev’essere popolare, niente che svegli le coscienze, che diventi
monito, che s’interroghi e faccia riflettere. Chiede un teatro comodo, facile,
ma come diceva Bertolt Brecht, per osare una provocazione:
Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro; dovrebbe andare in bagno.
Ecco che anche il teatro si
frantuma e segue diverse direzioni, la via più praticata è quella numerica, per
fare teatro ci vogliono più spettatori, più biglietti, più successo, più
contributi. E si, perché c’è uno spettatore che vince su tutti, è la politica
che è diventata l’ago della bilancia per i criteri e le modalità di concessione
dei contributi.
Anche quest’anno non sono mancate le polemiche sulle scelte
delle assegnazioni dal Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), i contributi che lo
Stato destina agli spettacoli dal vivo, sono i numeri ad aver deciso a chi tagliare
il contributo e a chi no, gli Enti che i decreti direttoriali hanno penalizzato
con i tagli non hanno certo gradito la scelta, come accaduto ad ERT (Emilia
Romagna Teatro) che ha subito un taglio di 91.476 euro rispetto alla scorsa
stagione. Claudio Longhi e Giuliano Barbolini, direttore e presidente di Ert,
non usano parole accomodanti, - l’assegnazione è “l’esito sconcertante che la
rigorosa applicazione dell’attuale sistema di riparto del Fus produce, spia
dello stato avvilente in cui versa il sistema teatrale nazionale” (laRepubblica)
Il criterio oramai sembra questo,
non culturale, ma burocratico, quello che conta per la distribuzione delle
risorse sono i numeri, non da circo o magari si, e devono essere numeri vincenti “non è vera e propria censura,
ma l’interiorizzazione di una strategia che
porta a rispondere all’orizzonte delle attese. E’ un
processo che porta a una inevitabile degradazione, alla retrocessione dell’artista,
del pubblico, della politica. Ed è un processo parallelo al degrado della cosa
pubblica, dove si punta all’unanimità (o alla
dittatura della maggioranza). Il teatro, che invece punta da sempre a
valorizzare le differenze, se vuole restare vivo e preservare la propria
differenza, si deve muovere in una logica diversa, nella consapevolezza che
successo mediatico e successo artistico non necessariamente coincidono.”
(Oliviero Ponte di Pino, Ateatro)
“È un teatro senza la a, tetro teatro, un
genere di risulta, da svecchiare internettizzandolo, rendendolo, in vari modi,
più crossmediale. E invece il teatro può essere, e in molti casi è, un
controveleno a quella semplicità, a quella velocità, a quella semplificazione
che ci sta portando all’esaurimento, alla violenza, al razzismo feroce, all’egoismo,
all’invidia, al culto dello stare chiusi nei propri gusci.
È un bisogno di radicalità, di
profondità, di ascetismo, in una società dove vincono il compromesso, il
superficiale, l’effimero, il superfluo. È la coscienza che l’immaginazione
prima o poi il potere lo conquisterà, o alla lunga, nonostante tutte le
sconfitte, lo supererà. O semplicemente lo ignorerà. Il teatro, come l’arte
vera, è fiducia, artigianato, ebbrezza del vedere nascere qualcosa di simile
alla vita, a volte più intenso della vita. Il teatro è fremito, è dialogo, è
comunità che si ricrea ogni volta, anche solo tra un attore e uno spettatore,
fino ai tempi del deserto. Il teatro, signori miei, (scusate l’azzardo) è
indistruttibile.” (Massimo Marino Doppiozero, il tetro che non c’è)
Penso di non dover aggiungere altro, ho preferito
lasciare la parola a chi il teatro lo vive, giusto una riflessione più attenta
per capire dove siamo e verso dove stiamo andando. Io intanto vado a dare
un’occhiata al programma della Fondazione Inda (Istituto nazionale per il
dramma antico) di Siracusa per il 2020, magari sarà l’anno favorevole per
andare dove vorrei andare io.
Per la 56a stagione il teatro greco di
Siracusa vedrà in scena Le Baccanti di
Euripide, Ifigenia in Tauride di Euripide e la commedia Le Nuvole di
Aristofane, si inizia il 9 maggio, il tema sarà quello delle “verità nascoste”, personaggi
che si presentano in un modo per scoprire infine che sono l’esatto opposto, non
tutto ciò che appare è come sembra.
Chissà perché questo tema mi sembra così
familiare, chissà perché…
Non si può vivere senza, l’umanità non può vivere senza il Teatro. Forse un giorno si potrà vivere senza il cinema, ma senza il Teatro è impossibile. Almeno finché esiste l’uomo, finché esiste lo specchio, il riflesso di noi stessi che respira, vivo come noi. L’uomo ha bisogno dell’uomo, di essere riconosciuto, di vedersi di fronte e farsi delle domande, per cui non penso che il Teatro morirà mai.
Emma Dante
... mantieni la calma e vai avanti.
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"Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro; dovrebbe andare in bagno." Grande Brecht la penso allo stesso modo. Anche il Teatro oggi subisce o sta iniziando a subire l'influsso delle logiche politiche e di botteghino, ma ci sono ancora spazi per teatro civile, di livello. Certo il pubblico si è imbastardito parecchio ed anche il teatro ne risente, però ancora una fiammella c'è e sta anche in molti giovani spettatori ma soprattutto attori che si affacciano al teatro e lo innalzano. Insomma secolo buio questo, ma ci sono anche oggi gli amanuensi moderni ed i liberi pensatori, solo sono isolati e poco ascoltati per adesso. Scusa se ho divagato forse rispetto al tuo post.
RispondiEliminaTutt'altro, caro Daniele, nessuna divagazione. Anzi confermi quanto ho accennato e condivido pienamente le tue parole. Ovviamente c'è, continua ad esserci il buon teatro, anche se diventa sempre più difficile sostenerne i costi, bisogna trovare mecenati e investitori che credano nella cultura e non nell'ignoranza...
EliminaUn caro saluto e avanti con le fiammelle :)
Cara Santa, non immaginavo che a Siracusa ci fosse tutto questo!!!
RispondiEliminaCiao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Carissimo Tomaso, è una città ricca di storia Siracusa. È la città di Archimede ;)
EliminaUn abbraccione anche a te.
Thank you for sharingg
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