martedì 1 aprile 2014

La ricerca. Nel frattempo: Cereglia a tutti!

Quando mi presento a qualcuno dico piacere, ma non so se sarà davvero un piacere. 
La conoscenza è sempre un’incognita. Può essere piacevole o spiacevole e dovrebbe essere sempre accompagnata dalla parola voglia, l’impulso che ci porta a soddisfare il bisogno del piacere. 
Ma se dico a qualcuno: “piacere ho voglia di conoscerti” o “piacere non ho voglia di conoscerti”, destabilizzo l’altro.
Ma l’altro è in ascolto? C'è qualcuno?

Vabbe', torniamo a voglia e piacere. Come posso fonderli? Potrei usare piaglia o vocere o cereglia, ecco si, userò cereglia, mi ricorda il cerea piemontese. Fantastico!

Benvenuti: Cereglia a tutti!

Vedete è questo il punto. È questo che mi fa amare il Lonfo
Vi chiederete cos'è il Lonfo e cosa c'entra con il presentarsi. 

Il Lonfo è una poesia di Fosco Maraini che amo, fatta di parole-suoni, diremmo non-sense, diremmo, ma a ben guardare, o meglio leggere, queste parole, seppure staccate da un significato ad esse proprio, richiamano immagini, significati. 

L'approccio del conoscere qualcuno è proprio così, inizialmente non ha un senso, ci mettiamo di fronte al nostro interlocutore con cuore e cervello, cercando di dare forma, significato ai gesti, al tono, a tutte le sfumature possibili e ci sforziamo di mostrare la parte migliore, quanta fatica! Quando potremmo lasciarci andare, abbandonare il noi stessi e lasciar fluire "l'altro da noi" interamente, lasciare scorrere il tutto e goderci per un po' emozioni, immagini, suoni, senza bisogno di catalogarli nel vocabolario dei significati cementati. Come nel Lonfo, dove le parole non danno nulla di sé, ma vanno oltre, perché la poesia, le parole di Maraini non sono referenziali, mentre tutto intorno a noi, anzi noi siamo assolutamente autoreferenziali in un contesto, in questo acquario, che è privo di qualsivoglia referenzialità.

Per questo adoriamo la tecnologia, computer, notebook, tablet, smartphone sono i nostri interlocutori, attivatori dei neuroni specchio, tutto è a portata del nostro occhio, tutto sembra possibile, guardabile, scrivibile, imitabile. Possiamo seguire in tempo reale, studiare, ascoltare, copiare, accoppiare, ordinare, inveire, confessare, sconfessare, curiosare, far sapere (la parola sapere è superba, non trovate?) dove siamo, dove andremo, chi amiamo, chi odiamo e poi, perdindirindina, invecchiano velocemente come noi, sono obsoleti dopo un giorno e dopo un giorno dobbiamo scaricare MB di aggiornamenti. Ops, peccato che le nostre cellule invecchiano rapidamente e non possiamo aggiornarle.

Eccolo il tempo, questa dimensione così impercettibile e allo stesso tempo tormentosa. Poco tempo, troppo tempo, dai tempo al tempo, consegna in tempo, rispondi in tempo, arriva in tempo, non ho avuto tempo, ho bisogno del mio tempo, non c'è più tempo, dammi tempo. Tutti vogliono, reclamano il tempo, il mio, il tuo, la banca del tempo. Dovremmo quotarlo in borsa il tempo.

A proposito di tempo, ho adorato l’esempio esplicativo della relatività, non quello del paradosso dei gemelli, lascio l’argomento a fisici e matematici, ma quello ingenuo da semplice lettore sprovveduto della differente percezione del tempo che si ha quando ci troviamo accanto a chi ci piace o quando siamo sui carboni ardenti.

Nel primo caso il tempo sembra volare , ma il volo è realmente veloce? (ricordarsi d’interrogare Jonathan Livingston), si ha la percezione della rapidità […]Tra voi, tra voi saprò dividere / il tempo mio giocondo; / tutto è follia follia nel mondo / Ciò che non è piacer. / Godiam, fugace e rapido / è il gaudio dell'amore; […], canta la Traviata Violetta (piacere, passione, amore… quante belle parole, devo iniziare a decorare un palo di totem).

Nel secondo caso sembra non scorrere mai, in quanti dicono: “al lavoro il tempo sembra non passare mai!”, anche se di questi tempi molti altri vorrebbero poterlo dire (lavoro è una parola ricercatissima).

Ma rieccoci. Affannati cercatori d’oro, armati di crivello per setacciare il nostro spazio e il nostro tempo. Afferrarli e impadronirsene l’imperativo. Incamerare e trattenere la conseguenza. Aspirare allo status stipsi, che distingue l’uomo pieno dallo sciolto.

E torniamo al Lonfo, alla Gnosi delle fanfole, il libro di Maraini da cui è tratta il Lonfo. Perché le fanfole oramai le dicon tutti o le mangian tutti!? Ho poco tempo, corro anch’io alla ricerca del web el dorado.

Ma corro furiosa come l’Orlando “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i mori d’Africa il mare”.

Ovviamente è…una fanfola, vorrei avere intorno l’aura dell’Ariosto, ma la sola aura che mi avvicina è quella che precede l’emicrania.

Anch’io, nel tempo in cui passano i neomori d’Africa il mare (per lo più morti, anche morte è una parola da tenere bene a mente) parto, furiosa, forse più folle perché di follia mi sanno questi tempi.

Parto alla ricerca della bellezza (bellezza parola seducente) come nell’ideale incarnato dalla Bella Angelica, e lascio all’Opera dei Pupi ‘l cavalier, le donne, gli amori ( a voi la disambiguazione della parte in corsivo).

E se partissi alla ricerca della Titina? 



Charlie Chaplin - Je cherche après Titine
Grazie per il video a aSmokersDelightI 


Quasi quasi canto anch’io: 

Se bella giu satore/Je notre so cafore/Je notre si avore/Je la tu la ti la twah./ La spinash o la bouchon/Cigaretto portobello/Si rakish spaghaletto/Ti la tu la ti la twah./ Senora pilasina/Voulez vous le taximeter?/Le zionta su la seata/Tu la tu la tu la wa./ Sa montia si ’amora/La sontia sogravora/La zontcha con sora/Je la possa ti la twah./ Je notre so lamina/Je notre so cosina/Je le se ro savita/Je la tossa vi la twah./ Se motra so la sonta/Chi vossa l’otra volta/Li Zoscha si catonta/Tra la la la la la.

Vi è piaciata? (quanto riderebbe oggi Petrolini).

Cereglia!

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