di quel treno

- foglie ovali e vistose
grappi di colori
case dai mattoni nudi -

si è infilato
nell’ultimo ripiano di un palazzo.

Tre scatole cinesi
senza fori
e il tetto
che si abbassa come un torchio
a spremere memorie.

Benvenuta nella nuova casa!

(Pza Dante)
   

cammino
sono la mano
che fruga nelle vesti.

Muovo
pezzi lividi di cielo
tra indistinti caseggiati.

Volteggiano pallide piume
in tratteggi polverosi
a scarabocchiare
l’avvilita tinta dell’aria.

Accanto ai fianchi
l’incedere pesante di occhi
nel padiglione nebbioso.

(Vle Indipendenza)


mi passano accanto nel ferrigno giorno
centodiciotto occhi
cinquantanove bocche
cinquantanove respiri
cinquantanove parole mancate

Risalgo
cinquantanove scalini
per traslocare la mia anima
sotto un tetto

Guardo il freddo
mentre cadono granelli sopra i  tetti
luccicanti come un mirino
piantato nel centro perfetto del cielo
… sparo

(Calle di Luca)

  
dei piccoli mondi alati
delle esauste parole
che intersecavano gli assi.
Gli incontri sono chiusi
nella stretta di un abbraccio
ma non lo sapremo mai.
Guardiamo le spalle dileguarsi
confondersi
nel fiume di formiche
caricate dal mastodontico peso
dei granelli
conviti che la vita sia un via vai
nel solco già tracciato
una mortale fatica
in cambio delle briciole.
Mi ricorderò della stanza scura
a Piazza del Popolo.
Dell'odore di frutta
dello sciame impazzito
dei venditori ambulanti.
Ci spogliavano i giorni
allora
e spiavamo la gente
salita sulle finestrelle
come la marea.
Eravamo noi - forse - la luna?
Il sole si! Tenuto stretto
nel pugno della mano
tanto stretto fino a lacrimare
o nei tuoi occhi belli
come due cieli estivi a rincorrersi.
Li vedevo così sul viso deformato
da quello strano male che ti torturava.
Eri la volpe nella tagliola dal pelo lucente
l’indomita cavalla nella palizzata.
Mi ricorderò dell'orizzonte
nella vicinanza
della bambina tiranna
che ci scoppiava dentro
delle schegge riprese
e ricucite nei dialoghi
con un filo lucente speranza
per riconoscerci ancora.
Mi ricorderò di ciò che di te non ho
e ci concederemo un altro incontro.

(Rione CEP)

  
solitario il corridoio
                                         Pesche di velluto
tra i mucchi bagnato
                                        Dai belle signore
dall'umido dolciastro
                                                Assaggiate assaggiate
scivolato sul legno
                                                      Sono zucchero in bocca
nell'ora di più calca
                                               Su prendetene a chili
                       solitario il corridoio
                       percorso la mattina
                       con  suole ubriache
                        di succo d'uva spina

(Pza Del Popolo)

  
adagiata sopra i desideri
di una ninfea scoperta dall'acqua
avvolta alle carezze del suono
sotto un sole che precipita
come l’occhio del nibbio
dentro la bocca ammaestrata.
Poi distratta cerca
i gomitoli sparsi
che hanno perso la cruna.
E nel singhiozzo lontano
che non sussurra mai confidenze
si piega alla pesante ruga del sonno
cercando il rumore veloce dei passi
di un incerto risveglio.
Sorride la donna bambina
lasciando l'odore del fuoco.

(Via Filippini)


s’impastano gli agrumi con i legni
sudi raschiando la corteccia alla betulla nell’attesa che l’alambicco
schiumi dell’essenza
e l’aroma cipriato della sedia
che tu vai a cercare
ti lascia la fatica di parole
chiuse in progressioni di quadrati

(Via Filippini)


senza nessuna pietà
questi uomini scuri
che non sono più Dei.

«Dall’acre penombra la campagna
si stendeva nel giallo incantata
mentre il cane montava la cagna.
Nel sagrare della strada stremata
il mare quieto furiava le cose
insidiando la porta specchiata.
Calmo l’olio nelle giare dispose
come torchio che nel giro s’incespa
a saziare le bocche rabbiose
che la gora come giostra la vespa
nella fila d’aranci invasata
seminata la pelle ormai crespa
le bagnò solamente eccitata.
E la pietra non fu buona né saggia
dall’odore di mosto avvinata.»

(S.S. 106)


c’erano suoni. Anche Allora.
Tanti. Si.
Nessuno restava seduto ad ascoltare
Correvano tutti
come uccelli dentro lo sparo.

Mio padre ascoltava Gounod a Genova
passeggiava con una ragazza in bicicletta
a vent’anni oh si, si è belli.
Amava le scarpe bicolore
ma non riuscì a portarle
sopra i  piedi nudi
andava a Sud.

I luoghi hanno tutti lo stesso odore quando sei vivo!

Un amico al tramonto
decise di non disturbare più il sonno
rimase disteso sulla strada
coperto da otto occhi rosso granata.
Piansero dopo un’unica volta
e restarono senza umanità.

I luoghi hanno tutti lo stesso odore quando sei morto!

(Via Emilia – S.S. 183)


mi correvi incontro
asciugando l’acqua
calpestata
nel cavo tempio
delle miniature.

Ti aspettavo addestrando
la parola
e la frusta sferzata
massacrava fiori
 sul velluto
nella stanza delle tele.

Impiegammo ogni attesa
a costruire trappole
per riprendere i sogni rotolati
sul pavimento sbilenco della notte
e sfiniti restammo senza preda.

(Via Umberto I° 51)


ad agitare il verde
dei tuoi occhi
il profumo silenzioso
e scuro.

Avevi altri occhi allora
vivaci
tra il fogliame delle querce
veloci e invisibili.

Avrei voluto somigliarti
nelle geometrie
chiuse dentro i  capelli
crespi e neri.
Erano il mio lungo cielo notturno.

Un altro tempo
fatto per altre visioni
il bambino restava bambino
costruendo magie.

(Via SS Annunziata)


bianchi come grani di sale
belli chiusi nei vestiti colorati
dormivamo su lettini di colonia
con sogni fatti in miniatura
avevamo sorrisi solari
dopo le lacrime a mani tese.

Quando eravamo bambini
nei giochi inaccessibili
avevamo occhi
dentro testine rotonde
per guardare vicino.
Eravamo fragili
impauriti dalle notti buie
dalle ombre giganti
piccoli eroi dalle pupille dilatate
per conoscere l'ineffabile.
Avevamo orecchie piccole aguzze
per combattere l’ignoto.

Quando eravamo bambini
volevamo tenere tutto
nella manina
ed è ancora così
quando scopriamo
di non volere mai crescere.

(castagneto)

  
si aprono a mantello le ali degli uccelli
mi solletica l’ombra
e l’abbraccio del cielo stretto si allenta.

Laggiù, mi raccontò un giorno la pioggia
indicandomi un luogo che non era orizzonte,
il capo dei sovrani ha una sontuosa veste
che in geometrie perfette segue la linea del tuo corpo

In alto volano gli sguardi
a mendicare il riparo
ma sono troppo bella
per concedermi al viandante
mangio indolente il sole
e nell’immobile languore
dimentico presto il peso degli amanti
i sogni, i sussulti, i segreti
che mi hanno posseduta
i baci dei fanciulli nel giardino
dove s’insinua il viola della notte.

Laggiù, mi raccontò un giorno ancora la  pioggia
indicandomi un luogo che non era orizzonte,
il banchetto della morte odora di frutta e spezie
nel rito del risveglio tu hai lo stesso odore all’alba

Mi alzai la veste per fuggire
rincorrere ribelle quel racconto
il buio mi trovò in ginocchio
a respirare il fiato di vinaccia
dell’ultimo padrone.

(casa romana di Vulci)


avanzi di luce
nelle stanze colme di ricchezze
aperte al vento ebbro di pastori.
Tendo l’orecchio ai passi
re padre
per trattenere Echo
al gioco stropicciato della veste.
Piango,
anche oggi, wanax
il riso della tua eloquenza
battuta sulla dura tavola.
Non camminano più gli occhi
sui macigni della grandezza
solo sandali sporchi di guerriero
sulla mia schiena
e profili duri di randelli
diademi e pendagli
appesi al lobo del pugnale che mi sventra.

La tua prudenza
nel racconto dello scriba schiavo
non sa della mia fine.
Maledico le teste mai sazie di corone
mentre la polvere sbatte tra le mie rovine
come il tuo esercito di vermi
ora senza carne.

(Palazzo di Nestore)


cede così all'arsura del cespuglio
da me potato
per non lasciarti il fastidio
di un consumato pudore

(Cda Lecco)

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