il giorno delle nozze
ho spezzato la zampa
giostrando sui rami
disegnavo il contorno dell'acrobata
sospeso al trapezio
non ho virtù né amori
sono lo storpio senza ripari
al buio del mondo
e racconto le storie ed i respiri
che i muri forati lasciano
alla luce speziata
non fatevi distrarre
dal becco giallo concentratevi sull'anca
e seguitela fino alla radice
di una pretesa estremità.
Datemi una scarpa robusta
dalla suola aderente
senza spessori
che assorbano
gli odori del mio umore
appena elastica
capace di rispondere
alle tortuose durezze
che segnano il girovagare
sul lungo perimetro
dei vostri finti giardini.
l'ombra
affonda
e la
grancassa spande,
nell'incessante
grido
dilagato
del giorno,
note
distorte.
Urla al
feroce chiarore,
invano,
la notte
del cielo.
(Via Arbitrio dello Zucchero)
girava la
farfalla
roteava
tagliente
prepotente
guardava la luce
dissolvendosi
in polvere.
Che
incanto!
(Via Belli)
si apre
tra gli odori
e oscilla
nel gioco fisico di altezze
libera
l’assenza di colori
nel mezzo
gravitazionale
che si
contende vivo sulla strada
l'unica
corsia preferenziale.
(Vle Europa “la rotonda”)
nella
stanza malata
rigiro a
spirale sull’alluce destro
il moto
del tempo
ma
l’occhio ronfa e strofina l’altrove
venuto a
bussare alla rossa finestra
non sento
canuto e demente
ripiego
una carta a stampe orientali
con grazia
annoiata
risciacquo
di zolfo la botte
poi verso
dell’acqua ben calda
estratto
di curcuma e tiglio
e annego
due Angeli pallidi
venuti in
assetto di guerra
(Via Monte Santo)
dammi del
filo
tre
pennacchi
un
ombrello
sarò il
gioco sulla fune
avanzerò
da equilibrista.
Dammi una
scena sconcertante
una canna
liscia
come la
tua pelle
una guerra
le farfalle d’Oriente
e fingerò
la sofferenza
dell’orecchino
appeso al lobo
del
lampadario sopra la credenza.
Guardo il
vetro la sua trasparenza
vedo la
rete per la mia esistenza
stringo
l’ombrello che danza
Io-
buffone nella stanza.
(Via Impalac )
una per vivere
una per morire.
In fondo sono un uomo stanco
nasco una volta per morire!
(Villa Comunale ex Orto Botanico)
se
conoscessi
avrei
paura di esistere
sarei
annientato
dalla
Libertà dalla Verità.
Esisto
questa è l’asta
che mi
sorregge.
(Via Savonarola)
guarda
i piani sovrapposti dell’Universo
li vede
variopinti
ornamenti
di ragazza Rom
Ha paura -
fugge
Dice -
dalla
rozza palla languente
Ma non ci
sono bussole né sestanti
nel lucido
cilindro di latta
che
l’arcimago maligno
gli ha
montato per testa
(Villini Svizzeri “Parco Fiamma”)
non c’è
ragione.
Resta
non c’è
neppure in
questo
ragione.
Non sai,
non so.
Odora
l’incertezza
d’impalpabile
fatica.
(Via Gebbione “La Capannina”)
stanno
lunghe piante ed erbe inafferrabili
inesistente
sarebbe l’effetto dell’astronomo
o
dell’orgasmo di una costruita partenza
sotto la
leggera pioggia digitale.
Il momento
si affaccia a intermittenza
nella
piena luce dell’ovale
matura
discreto
nella
piega del frattalico tronco
e il Dio
sposo nella ripresa complessa
dell’inizio
finale
plasma
la
controfigura della carne
premendo
nella vagina conca
la penna a
sfera
per
disegnare il battito di un cuore
che mai
vedrà l’esatta eredità ristabilita.
(Germanenstrasse)
offuscato
dagli occhi nudi del cielo
nascondo
le mani soffici
di
fragrante tabacco.
Avevo una
spada e un filo antico
legato al
Paradiso
dicono che
la Parca abbia sciolto il nodo
e
nell'incedere lento
sia
tornata a filare cadaveri d’organza.
Sono solo
accecato
dagli arazzi stesi
sulle nude
pareti del Creato
che odora
di sola santità.
(Via De Nava)
ammalati
di pansessualismo
dietro i
vetri sotto il ponte
giocando
col cursore
seguono
l'andamento del topo
illuminando
i lucenti monili
che
adombrano il suo occhio di rubino
domestico
alla palafitta della casba urbana
corrono
incerati
a
sviluppare la fiammella del motore acceso
bagliando
in posizione orizzontale
dentro le
cunette erbose dell'asfalto
pressano
il torchio a ritmo
nella
fragilità dell'anca
e
rantolando scostano la carne disarmata
pregano
così
a lame
dentellate
d'acciaio
i Santi
nel retto
della notte
lavando la
preghiera con gli sputi
e il
giorno
che si
accascia sulla strada
non è mai
pronto
per la normale
tregua
(Vle Virgilio)
Iam iam
terrae flet facies
ferisce il
fusto
il grido
acuto del ramo che si piega
alla
sferzata alare del serpente.
Nel tempo
saccheggiato dei giganti
il corpo è
solo un'ombra che guizza
lontano
dal rettile piumato
e l'eco
delle stagioni allora incerte e vaganti
coglieva
dal becco il sibilo e il terrore.
Dicono di
lui che infine uccise l'uomo
chiuse la
visione nel cono lucente della nube
e sfiorò
l'altezza della conoscenza
nella
valle desolata
ma l'albero
mite dalle piccole foglie cangianti
quel
giorno lo vide
scosso e
sbattuto dal lampo
legato
alla ruota del vento
attraversare
il confine
e
impazzire.
(Via Vito
Inferiore)
non ha senso oltre la circonferenza dei sapori
lei conosce la finzione dell'eterno
e si sazia masticando
il capo alle pagliuzze
che raccoglie nella nicchia
della commozione
invischiando i pori alle bambine
Impudente si aggrappa
alla colpa dello zingaro
e umilia il ricamo dello scialle
mostrando la finezza delle ciglia
Crea l'orizzonte ai bordi della bocca
per ingannare il viaggio del granello
e ride della bolla frantumata
che il vecchio si appunta sul petto
con lo spillo
Attende mansueta
il giorno mai goduto
per stringere il filo del mattino
alla gola della sposa
e stanca poi si siede
sul cumulo di stelle senza fuoco
per ammirare il volo dei vapori
lasciati dalla terra al cielo
(Prol. Crocevia Caserta)
sotto la terra la nota si è destata
nessun ostruzionismo
ridarà le gambe al becchino
la vanga è seppellita.
A mucchi smunti e barcollanti vagano
in penombra le vendette stropicciate
di melodie cantate ai fori dell'orecchio
e nelle mani che hanno perso il sonno
tintinnano metalli profumati.
Girano in vorticoso passo
i corpi che non sono
seguendo il ritmo sordo che risuona
e fissano eccitati i tardi sbalzi
come ragazzi accecati dalle noci.
(Pza Belle Arti)
marciavano
in file perse i fedeli
sopra il
coro rullante
sgretolati
i piedi dei corpi caduti
non
c'erano assassini solo vittime
e mercati
e baratti dei resti
nell'incandescente
fragore
La colomba
assassina planava
morivano
mute le ossa
sotto la
fiammella del grilletto
ascendevano
ai cieli gli spari
non
c'erano carnefici solo spettatori
e inutili
e macchinosi gesti
nel
quotidiano passare
La colomba
assassina danzava
e l'altare
era pieno di sfarzo
(Pza Pio XII)
Penso che "Il merlo zoppo" sia degno di sedere accanto ai grandi classici. Leggo una parte ogni giorno e ogni giorno scopro angoli nuovi, perle e fratture. Non mi stancherò mai di ripeterlo: sei una tra le più grandi potetesse contemporanee e leggerti, per un'amante di poesia, è ciò che di più bello possa esserci. E vivere assieme a te nel tuo stesso tempo rende questo nostro tempo più sopportabile
RispondiEliminaÈ incoraggiante e lusinghiero ricevere commenti belli come i tuoi, ma immeritati. Sono solo appunti di viaggio, la poesia disarma e affiancarmi alla grande poesia contemporanea è improprio (per essere morbida), stavo per scrivere "mostruoso" :D
EliminaMa grazie Silvia per questo tuo slancio carico di emozione. Commossa.